martedì 30 gennaio 2007

L'esorcista, quando si diventa uomini


Primo anno di liceo. Ho 14 anni, forse nemmeno. Quell’anno sento parlare di cose nuove e rivoluzionarie, che sembrano avere il potere di sconvolgere la società e terremotare le tue conoscenze. Una di queste cose rivoluzionarie di cui si fa un gran parlare è un film. Si chiama L’esorcista ed è uscito in America già da diversi mesi provocando, si dice, sconquassi peggiori di una squadra di dirottatori su Cuba. L’esorcista ha fatto svenire caterve di persone nelle sale americane, in qualche caso non le solite vecchine baciapile, ma vigorosissimi omaccioni. Alcuni sventurati caduti in deliquio a causa dell’incontro ravvicinato con il Maligno non si sono ripresi più, si dice ancora. Qualcuno giura che le famiglie delle vittime dell’Esorcista abbiano intentato causa alla casa produttrice del film e tutti si dicono certi che vinceranno il processo a occhi chiusi. Del fenomeno Esorcista ha parlato pure il presidente americano Nixon, ma pare che in questo momento abbia altre e più grosse gatte da pelare.

Il film è ormai nelle sale italiane, ma ancora in prima visione, dunque in posti inaccessibili alle tue tasche. Inoltre è vietato ai minori di diciotto anni. E’ un problema, perché nei cinema di prima visione non farebbero mai entrare un quattordicenne come te, anche se ben piantato. Il discorso tuttavia potrebbe cambiare dal giorno alla notte quando la pellicola più spaventosa di tutti i tempi approderà nelle terze visioni di periferia, dove, lo sanno pure le pietre, darebbero libero accesso anche a un moccioso col lecca lecca a un film di Salvatore Samperi purché sganci la materia prima necessaria.
L’attesa è alimentata da voci incontrollate provenienti da ogni dove. Prima di tutto c’è il solito compagno di classe che giura sulla tomba della madre, ancora viva e vegeta, che lui L’esorcista l’ha già visto in prima visione. Ha sgraffignato un biglietto gratuito a quel faccendiere di suo padre e… ha visto l’inconcepibile. La classe al completo si riunisce accanto all’ammirato spettatore dell’orrore allo stato puro, anche se più di uno nutre dubbi sulle sue sparate. Cominciano le ragazze. E’ davvero un film così spaventoso? Di più, non andatelo a vedere se volete dormire la notte. E la scena del vomito verde o della testa che ruota sul collo? Tutto vero al cento per cento. Anche la pipì addosso? Ci potete giurare, ma questo è niente, c’è ben altro. Qui le fanciulle abbandonano il campo disgustate, ma i boys restano accampati sul posto avidi di particolari sul sangue sul crocifisso usato come fallo dalla ragazzina terribile. Seguono altre spiegazioni, ora più inclinanti sul filosofico che sullo scabroso, come l’accenno a un certo medaglione che compare alla fine del film il cui significato simbolico pare essenziale per comprendere la storia. O come le lodi alla colonna sonora, “Tubular bells” di Mike Oldfield, l’unico punto in cui gli ascoltatori si sentono alla pari con chi parla perché hanno sentito quel pezzo musicale alla Hit Parade radiofonica di Lelio Luttazzi.

Passa il tempo. Le voci sul film continuano a peggiorare. Si sprecano le battute sugli analisti che dovrai arricchire per superare i traumi psicologici successivi alla visione dell’Esorcista. Poi viene l’evento sconvolgente, quello che ti fa chiedere se valga la pena di rischiare la tua sanità mentale per vedere un film sia pure sulla bocca di tutti. Tuo fratello più grande, un essere impavido capace di attaccare briga con brutti ceffi grossi il doppio di lui… si comporta d’un tratto in modo inspiegabile. La sera precedente non riusciva a prendere sonno, lui che di solito mette la testa sul cuscino e saluta il mondo. Non solo non dormiva, ma sembrava aver paura di qualcosa. Sì, che strano. Per una volta ha rinunciato a trattarti da postlattante o a darsi arie da grand’uomo che ascolta i Led Zeppelin ed è a un passo dal combattere la Rivoluzione sulle barricate. Il giorno dopo vieni a sapere, da tua madre, che tuo fratello ha visto L’esorcista . Ci è andato con la sua comitiva di balordi soprattutto per fare casino e disturbare la visione agli altri. Ma una volta sedutosi nelle prime file del cinema quasi pieno, a lui e agli amici balordi è passata ogni voglia di ridere. Tua madre non lo dice, ma pare proprio la storia di quelli che andarono per suonare e furono suonati.
E’ venuto il momento ormai più temuto che atteso. L’esorcista, il più agghiacciante film di tutti i tempi è arrivato al cinema del tuo quartiere. Hai paura di andarci, ma ormai è una prova di coraggio a cui non puoi rinunciare se vuoi continuare a chiamarti uomo. I problemi come al solito non vengono mai da soli. Tutti i tuoi non molti amici giurano che hanno già visto il film o che hanno da fare. Prendi la risoluzione finale. Vai al cinema da solo. Sembra pura temerarietà, ma potresti avere un vantaggio su tuo fratello e gli altri sinistrati dal film. Hai già sentito parlare di quella storia in lungo e in largo, questo forse ti aiuterà ad avere meno paura.

Le sei di sera. Do i soldi alla cassiera del cinema. Quella afferra la grana e non si sogna nemmeno di dirmi che non ho l’età per entrare. Il cinema è pieno. Confusione da non dire, una baraonda. Fumo di sigaretta a gogò. Aria attraversata da ogni genere di battuta triviale. Ottimo, si dice un certo ragazzino che ancora non ha smesso di tremare. Quello è l’ambiente adatto per non farti sentire paura. Via le luci, inizia il film. La cosa brutta è che a un tratto nessuno parla più. Per fortuna quando la scena si sposta in dall’Iraq alla casa americana dell’attrice Chris MacNeil il frastuono aumenta. Aumentano pure imprecazioni in dialetto e risate scomposte. Bene così, mi dico, tutta quella caciara è pura manna dal cielo. La baraonda è molto benaccetta sia nella scena dei topi in soffitta, sia in quella della scritta “help me” incisa sulla pelle della sventurata dodicenne Regan, sia soprattutto in quella dei mobili che si spostano da soli nella camera o, infine, nella parte dell’indemoniata che vomita oscenità infilandosi il crocefisso proprio lì dove aveva detto il compagno di classe fanfarone.
Rido anch’io con gli altri. Sono contento perché finora non si è verificato l’atteso tracollo psichico. Reggo bene l’interrogatorio sotto ipnosi dell’indemoniata e riesco perfino a sentirmi un piccolo eroe nella famigerata fase del vomito. Ma al momento dell’esorcismo l’atmosfera si fa tetra. Nessuno ride più. Poche le voci in sala e molto il fumo di sigaretta che ti aggredisce ogni poro epidermico scortato dalle bestemmie immonde del demonio. Sconfitto Karras con un trucco psicologico, il Maligno uccide padre Merrin. Qui ho paura. Che alla fine vinca il Male? mi chiedo nel silenzio irreale della sala. Niente affatto. Karras – ribattezzato “il prete giovane” a furor di popolo - torna nella stanza dell’invasata. Quando il demonio lascia il corpo della giovane Regan per entrare nel suo, si getta dalla finestra uccidendo se stesso, ma sconfiggendo il Male.
Il film è finito. Partono colonna sonora e titoli di coda. E’ tempo di andare. Ho ancora i capelli elettrizzati per le ultime scene e c’è un brivido gelido che non ne vuole sapere di lasciare la mia schiena. Eppure sono contento. Ho visto il peggiore incubo a due dimensioni di tutti i tempi, l’ho visto andando a cinema da solo e ho ancora la forza di camminare per le strade scure del mio quartiere. Non sono impazzito, anche se la prova delle prove, lo so, verrà stanotte, nel mio letto buio. In ogni modo so già che, magari con qualche difficoltà maggiore del solito, dormirò. Lo so.
Fuori dal cinema vorrei quasi fischiettare: forse oggi sono diventato un uomo.

giovedì 25 gennaio 2007

Il blog, ovvero la fulgida Spada della Libertà editoriale


Apro gli occhi e non ti penso, ma penso: cavolo, che bella cosa è il blog!
Che strumento editoriale democratico! Che possibilità rivoluzionarie offre!

Stamattina presto, appena sveglio ho pensato al blog come a un movimento rivoluzionario, una specie di avanzata degli oppressi che travolge le impalcature della reazionaria e paludata editoria tradizionale, che fa cadere le teste eccellenti degli editori parassiti o sanguisughe, che sconvolge l’ordine delle cose. Ho pensato al blog come a uno strumento portentoso che ti offre la possibilità di esprimerti e far conoscere il tuo pensiero senza passare sotto le forche caudine dell’editoria classica. Mi sono visto proprio in marcia con altri derelitti, armato dei forconi o delle mani nude dei sanculotti parigini, assaltare e conquistare l’odiata Bastiglia dell’industria libraria come è stata finora.
Infatti vediamo qual era la strada obbligatoria, prima dell’avvento della rivoluzione del blog, per scrivere e farti leggere da qualcuno diverso dai tuoi parenti più stretti.

La prima cosa da fare era realizzare un romanzo di un paio di centinaio di pagine o più. Correggerlo e ricorreggerlo. Perdere la vista sul computer o ancora peggio sulla macchina da scrivere. Fare tre, quattro, dieci stesure. Fare il pazzo su ogni singola frase per renderla più incisiva, migliorare la punteggiatura, eliminare le proposizioni secondarie in eccesso, snellire, sintetizzare, revisionare. Ammazzarti di lavoro e farti venire le crisi esistenziali. Uscire la sera e vagare per le strade buie con la barba lunga e gli occhi spiritati meditando su qualche modifica di nessuna importanza da attuare sulla tua creatura letteraria. Infine, dopo mesi o anni di inenarrabili tribolazioni letterarie e mentali, dichiarare: basta così!
A questo punto progetti una veste grafica del tuo romanzo degna del capo impaginatore del New York Times. Fai la massima attenzione al carattere tipografico da usare, all’interlinea, allo spazio destinato alla rilegatura, ai bordi. Stampi dunque il tuo romanzo, utilizzando solo cartucce originali (quelle che costano il quadruplo delle ricariche cosiddette compatibili) per aumentare la qualità di stampa; e ti fai da te tutte le stampe di cui hai bisogno perché non ti fidi neanche un po’ della qualità delle fotocopie dei negozi specializzati. Fai fare una rilegatura elegante con tanto di lucido per colpire come si conviene l’occhio del lettore.
Stimi di dover spedire, per ottenere una minima possibilità di farti notare presso il mondo editoriale, almeno dieci copie del tuo romanzo. E calcoli, tra stampa, rilegatura, spedizione raccomandata, buste da spedizione imbottite eccetera, di spendere duecento euro se ti va bene (e separarti da quella cifra è una pura stilettata al cuore perché di certo non navighi nell’oro).

Naturalmente non è ancora finita perché viene ancora lo stramaledetto rituale della lettera di presentazione all’editore, con annesso curriculum. La lettera di presentazione è la cosa più odiosa e pallosa che ti sia mai capitato di scrivere in vita tua, devi prendere a calci il tuo amor proprio e prostituirti a formule idiote (il termine esatto era un pochino più forte, ma mi trattengo) che ti fanno sentire peggio che se avessi ingurgitato un bottiglione di olio di ricino. E allora bando a ogni vergogna e dacci sotto con gli “alla Vostra cortese attenzione”, i “distinti saluti”, gli “spett.le sig. dott.”, i “sperando di aver suscitato la Vs attenzione” e via tromboneggiando. Non è finita perché il meglio deve ancora venire. C’è il curriculum. Cioè devi scrivere qualche nota di te in cui possibilmente appari come un individuo geniale dedito a professioni di successo retribuite con secchiate d’oro e pietre preziose. Sei riuscito a sopravvivere fin qui, hai affrontato disagi e compiuto eroismi che neanche i Trecento delle Termopili, ma il curriculum minaccia seriamente di accopparti. Che diavolo ci puoi mettere in quel canagliesco curriculum? Non hai una lira, non lavori, non hai mai pubblicato, nessuno ti conosce nemmeno nel tuo palazzo e la tua ragazza – una megera petulante che quasi non ti degna di parola – ti ha abbandonato per chiudersi in convento. Che ti puoi inventare per scrivere un curriculum in cui appari in una luce un po’ diversa da quella di Calimero sono Piccolo e Nero? Comunque, un po’ mentendo, un po’ tacendo, un po’ impreziosendo, un po’ spergiurando… ecco che pure il curriculum è pronto e spedisci i plichi alle case editrici.

Nessuno ti risponde per mesi. Pare che il tuo sudatissimo lavoro letterario non sia giunto nemmeno a destinazione. Dopo alcune stagioni meteorologiche dominate da effetti serra e buchi dell’ozono fai qualche telefonata alle case editrici, dove ti senti rispondere, da cialtroni più scortesi di un impiegato postale da sportello, che le telefonate degli autori non sono gradite. E che non si rilasciano giudizi sul tuo romanzo. Se non ti arrivano segnali da questa casa editrice fino diciamo al prossimo manifestarsi dell’anticiclone delle Azzorre - dice la strafottente segretaria con cui comunichi - è probabile, ma non del tutto certo, che il tuo lavoro non abbia riscosso successo. Comunque sei vivamente pregato di non rompere le scatole con altre telefonate se non vuoi essere denunciato come molestatore.
E' chiaro che quando ti imbatti finalmente in individui in carne e ossa, veri e leggendari personaggi del mondo editoriale, ti rendi conto che hai a che fare con mezze calzette, con parodie umane come quelle descritte qui… e ti rendi conto che questi dementi subumani dovrebbero decidere se il tuo romanzo merita o no di essere pubblicato. Ti rendi conto che un giorno dovrai sederti davanti alla scrivania di questi mentecatti e magari pendere dalle loro labbra o blandirli e implorarli affinché ti pubblichino la tua creatura letteraria.

Per fortuna ora c’è il blog. Per fortuna il blog ha sta portando un colpo mortale all’ancient regime dell’industria della comunicazione scritta.
Il blog ti evita di avere a che fare con qualsiasi scaldapoltrone rimbambito da segreteria letteraria. Il blog ti dice: il tuo editore sei tu. Il tuo stampatore e distributore sei tu. Il tuo ufficio stampa e la faccendiera editoriale presso cui impetrare informazioni sei tu. L’individuo davanti alla cui poltrona devi sederti con il fiato in gola sei tu. Il solo personaggio da maledire se ciò che pubblichi non ti piace sei sempre e solo tu.
Devo averlo detto già da qualche parte, ma Dio salvi il blog! :-))

Allons enfants de la Patrie,
Le jour de gloire est arrivé !
Contre nous de la tyrannie,
L'étendard sanglant est levé!

martedì 23 gennaio 2007

Perché nessuno mi intervista?


Ragazzi, avrò mica la lebbra? Mi sarò forse preso una brutta forma di peste bubbonica altamente infettiva? Avrò l’Aids, l’influenza aviaria o almeno l’herpes? Il mio alito puzzerà come quello di un ippopotamo con la sindrome della mucca pazza? Sarà perché mi vesto con questa poca cura e perché porto lo stesso paio di jeans da un paio di anni? Dio mio, forse ho fatto male a non battezzarmi mai con quel wooooonderful parfum for men che stende tutte le girls e molte professional women sul tuo cammino!
Insomma cosa c’è che non va in me? Qualcuno sa dirmi perché nessuno sul blog mi ha ancora intervistato anche se tra poco festeggerò un anno di permanenza nel virtuale? Come mi sento trascurato! Come mi sento derelitto! E dire che girando per il blog ho visto un sacco di interviste a blogger di tutte le risme. Anche gente che non sembrava aver lasciato orme memorabili in questi paraggi. Me sciagurato! Me tapino! E’ un’ingiustizia però, ve la prendete tutti con me perché sono sventurato e partenopeo!
Vi prego interrogatemi, mostratemi che conto pure io qualcosa. Fatemi uscire da questa crisi esistenziale. Perché nessuno mi rivolge una di quelle domande geniali della tipica intervista da internet? Mi riferisco a quei quesiti filosofici che ti convincono di essere un individuo importante e vivo. Tipo: sei in ascensore con Julia Roberts, Angelina Jolie e Naomi Watts, (per le blogger sono Brad Pitt, George Clooney e un terzo attore a caso) cosa ci fai con ciascuna di loro? O ancora: hai mai fatto sesso orale su un Boeing 747 dirottato da un commando terroristico di Al Qaeda? Meglio un pompino con Gola Profonda o una scopata con Passera Ospitale? Quanto ti senti porco/a da uno a cento? Quante volte ti sei ubriacato/a e quante canne ti sei fatto in vita tua? Hai mai fatto sesso anale o a tre o quattro? Per soli uomini: la prima volta che esci con una donna fai sesso orale e lei ingoia tutto fino all’ultima goccia, cosa pensi? Per sole donne: quante volte hai ingoiato nella posizione detta della preghiera? Qual è la cosa più cretina che tu abbia mai fatto [tranne rispondere a questa intervista NdR]? La posizione che consiglieresti a un’amica/o? Ti piace l’uomo (la donna) che a letto ti dice cose porche nell’orecchio? Te la depili?

Ieri facevo una ricerca su Google quando mi imbatto in una intervista a una nota blogger. Delusione terribile perché io consideravo questa persona al di sopra di certe banalità. La delusione è stata massima quando questa blogger ha risposto “il culo” alla brillante domanda sulla parte anatomica maschile preferita. (Tempo fa ho scritto un commento sull’inconsistenza e astrusità di questa risposta femminile, che posso riproporre ove richiesto.)

Comunque, se nessuno volesse intervistarmi, se tutto il mondo del blog complottasse contro di me per attentare al mio amor proprio, vorrà dire che prima o poi mi intervisterò da solo. Anzi mi vado già a preparare le domande, la prima delle quali probabilmente sarà: c’è qualche differenza tra te e Dio? (Ehm, mi sarà perdonato un innocente tentativo di stimolare la mia pericolante autostima.)
Ah, Le domande che ho riproposto nel post sono tutte vere al cento per cento - tranne il mio riferimento al Boeing 747 - e rivolte a gente virtuale che ha ritenuto di dover rispondere, probabilmente sentendosi pure fichissima.

giovedì 18 gennaio 2007

Il dono


Alla comparsa dell’ufficiale delle SS, barcollo per il campo di concentramento abbandonato, sballottato dal vento gelido di questo gelido gennaio di fine guerra. La SS cavalca una motocicletta e non mi ha ancora visto, ma lo farà tra breve. Non posso nascondermi da nessuna parte, non c’è scampo all’inevitabile.
Il campo di concentramento è stato evacuato alcuni giorni fa a causa dell’offensiva tambureggiante dei russi che respinge su tutta la linea l’esercito nazista quasi in rotta. Solo alcuni malati dati per spacciati, tra cui io, che mi sono preso la scarlattina, sono rimasti nell’infermeria. Eravamo sicuri che ci avrebbero eliminati tutti quando il grosso degli aguzzini e degli internati capaci di camminare avessero abbandonato il campo. Ma non è accaduto, di certo a causa di qualche disguido burocratico. Probabilmente noi sopravvissuti siamo qui perché qualcuno, nella confusione della fuga, si è scordato di timbrare uno dei meticolosi documenti cari agli imbrattacarte di Heydrich e Eichmann.
Ecco, i pochi fantasmi macilenti capaci si trascinarsi fuori dall’infermeria in cerca di cibo si sono nascosti nelle baracche ancora fumanti per l’ultimo bombardamento russo. C’è riuscito pure un ebreo greco di Salonicco malato di dissenteria che dorme nella mia stessa stanza. Sia io che il greco pensavamo che sarei morto dopo di lui, ma ci sbagliavamo entrambi. Per me è finita.

La carogna nazista mi ha visto. Dirige la motocicletta verso di me e la ferma davanti alla coperta sfilacciata sotto la quale tremano di freddo molte ossa e poca carne. La SS mi fissa con azzurri occhi carichi di odio. Del mare di invettive che mi grida nella sua stridente lingua gutturale capisco poco, d’altronde c’è poco da capire. C'è un ebreo che dovrebbe essere morto e che invece si aggira per il campo contro ogni proibizione. Che il campo sia stato abbandonato e che la guerra nazista sia persa, conta poco.
Conosco l’uomo in divisa. Era uno del lager. Conosco pure il suo nome, ma niente qui e ora ha meno importanza di un nome. Un giorno l’ho visto sparare alla nuca, senza battere ciglio, a un disgraziato ungherese che non riusciva più a tenersi in piedi, un sarto dalle mille risorse meno una, ma ora ha detto addio alla sua aria sfrontata dei giorni migliori, ora sembra solo un soldato sbandato. Forse ha perso il contatto con la sua unità e ancora più probabilmente ha smarrito la fede nell’immancabile vittoria del Terzo Reich e nell’invincibilità del suo amato Fuher. Ha la divisa fuori posto, il cappotto imbrattato di fango e la barba sfatta sotto due occhi spiritati. Il suo mondo è crollato e la sua evidente paura lo rende solo più pericoloso. Estrae la pistola e me la punta in faccia, mentre continua a strepitare nella sua orribile lingua.
Il sacco con le patate congelate prese nella cucina del campo, mi accorgo, mi è caduto su un cumulo di neve sporca di nero che sembra sangue. Il vento freddo fa sbattere porte e finestre sfondate delle baracche, le lamiere dei tetti mandano stridori acuti, gli echi di lontani boati mostrano che l’artiglieria russa continua la sua opera di demolizione del nemico in fuga. E’ curioso, dalle lontane ciminiere dei locali della vergogna continua a uscire fumo, anche se stavolta si tratta di fumo dovuto a bombe di Stalin e non a carne incenerita.
Mi stringo addosso la coperta, non ha senso soffrire il freddo anche se vedi quasi già la pallottola che sta per giustiziarti. Sento la neve penetrare nella scarpe sfondate appartenute a un malato di difterite morto la sera prima. Ora la canna della pistola è quasi appoggiata alla mia fronte, ma ancora non spara. L’ufficiale delle SS continua a parlare, cioè a sbraitare contro di me. Forse vorrebbe che mi inginocchiassi davanti a lui mentre mi spara, magari vorrebbe che scappassi o cercassi di lottare per dare maggiore sfogo alla sua frustrazione di sconfitto della Storia. Mi spiace per lui. Non farò niente di tutto questo. Sono troppo debole perfino per rimanermene qui in piedi sotto questo vento che ti taglia in due.

Il nazista mi grida ancora contro. Lo fisso negli occhi. Da dove mi viene tutta la forza che sento in me in questo momento? Da dove mi viene questa totale assenza di paura? E questo sorriso sprezzante che sento inarcarmi le labbra, quale titano del coraggio lo ha impresso sulla mia debole bocca? Sei un essere abietto, dicono i miei occhi fermi alla SS. E pagherai per le tue nefandezze. Pagherai in questa vita davanti a un tribunale di guerra penzolando da una forca o, se sarai diabolicamente fortunato, salderai il conto nell’altro mondo davanti al Giudice Supremo che tutto vede e tutto giudica. Pagherai le tue malefatte fino all’ultimo, dicono i miei occhi inesorabili, e in caso di bisogno testimonierò contro di te per farti avere una fine dolorosa e umiliante come quella riservata alle tue vittime. Però oggi, in mezzo alle rovine di questo sconcio lager, sopra questo terreno scosso dai rombi della guerra che si avvicina, ti do una possibilità. Non quella di evitare la tua giusta punizione, ma di dimostrare a te stesso che dopotutto sei pure tu un uomo. Di ricordare che un giorno, prima di diventare il mostro che sei adesso, eri una persona che rideva e conosceva il significato della parola amore. Oggi ti concedo il dono di guardare per un attimo l’uomo che era dentro di te, una cui una debole traccia, forse, è rimasta in un angolo di quel tuo cuore nero.
La SS a un tratto smette di sbraitarmi contro. La pistola a poco a poco cala verso il basso come se il braccio che la regge avesse perso l’energia per sostenerla. Infine sparisce ogni segno di odio e di pazzia dal viso dell’uomo in divisa che mi fronteggia. L’ufficiale nerovestito volta le spalle e rimonta sulla motocicletta, all’improvviso ha perso ogni interesse a restare qui. Mette in moto e poi si gira un’ultima volta. Un vento pieno di nevischio e cenere offusca la visuale. La voce dei cannoni cresce di intensità come per impedirti la concentrazione. E’ difficile dire cosa vedo nei chiari occhi del mio mancato aguzzino. Eppure direi che nel suo ultimo sguardo c’è riconoscenza per il dono che gli ho fatto. Il dono di vedere un’ultima volta, prima del disastro, l’uomo che un giorno era stato.
Recupero a stento il sacco con le patate gelate. E mi dirigo verso gli smunti fantasmi che escono dalle baracche storcendo le labbra in una smorfia simile a un sorriso. Se vivremo abbastanza, prima o poi torneremo a sentirci uomini. Ma non scordare no, non avremo questa fortuna.

Ho scritto questo brano ispirandomi a un passaggio di Se questo è un uomo del grandissimo Primo Levi, anche se i personaggi e l’incontro del post sono di mia fantasia.

martedì 16 gennaio 2007

Lettera di viceamore a una valchiria virtuale


Sento già di viceamarti, o mia adorata valchiria teutonica, anche se non ti ho mai visto e anche se, a dire il vero, non so nemmeno se esisti. Sogno la tua bionda chioma stretta nel mio pugno tremante e l’azzurro nibelungico del tuo occhio posarsi grato sulla mia persona. Ah, gioia infinita poter lisciare le tue membra temprate da conflitti con famelici draghi renani. Ah, felicità lisciare il filo tagliente della tua spada amazzone!
La tua esistenza mi è stata annunciata da un nostro comune conoscente, ottima persona, riflessiva, amante di classici latini e dotata di un sereno senso dell’umorismo che di certo avrai già avuto modo di apprezzare meglio di me. Egli mi ha comunicato di averti segnalato il mio ahimé indegno nominativo spiegandomi che, qualora tu avessi trovato intellettualmente stimolante la lettura del mio blog, non avresti mancato di ricompensarmi in modo congruo e tangibile per la gioia culturale provata.
Tuttavia, o mia vicediletta alemanna, sono passati diversi giorni e ancora non ti sei palesata a me. Soffro per questo disdicevole ritardo e me ne chiedo il motivo. Il nostro comune conoscente ha associato il tuo interessamento al sottoscritto alla sola qualità letteraria del mio blog. Alla mia capacità di produrre brani seducenti e se possibile brillanti. Non ha fatto il minimo accenno ad altri fattori, nei quali, lo confesso, potrei essere non poco deficitario. Sono sicuro, bionda visione nordica, che hai già esplorato mio blog in vari punti. E allora mi chiedo: cos’è che ti fa ancora esitare? Perché non mi hai ancora contattato dopo tanti giorni? Hai forse trovato, da qualche parte nell’universo virtuale, blog scritti meglio, magari molto meglio, del mio? Hai già una lista di scrittori da internet a cui - a causa di una loro indubbia superiorità letteraria nei miei confronti - devi dedicare le tue arti ricompensative con maggiori priorità? Questa lista di blogger ispiratissimi è forse così cospicua da farti disperare di potere un giorno inviarmi un teutonico bacio virtuale a indennizzo dei miei forse velleitari sforzi creativi?
Se esiste questa lista di blogger molto più capaci di me, ti prego di farmela avere onde io possa trarre edificanti insegnamenti dal loro eletto esempio. Tuttavia, che strano, o mia fulgida Stella del Nord. Girando per il virtuale non mi è quasi mai capitato di trovare blog che facciano gridare al miracolo letterario (ammetto comunque che nemmeno il mio rientra in questa categoria). Ecco perché aspetto con vera trepidazione l’elenco di questi bravi blogger che hai anteposto alla mia persona nelle modalità di ricompensa materiale.

Qualora il tuo disdicevole ritardo sia dovuto a motivi diversi da quelli che adduco in questa mia missiva di viceamore, ti prego di farmi avere subito tue notizie. Sappi, mia diletta e adorata vichinga, che niente appagherebbe di più il mio tormentato animo che specchiarmi nei tuoi rutilanti occhi boreali. Fiducioso in una tua imminente benevolenza, ti saluto, Tuo
Capitano.

lunedì 15 gennaio 2007

Mister Cupido e solerte assistente


- Grazie, Mister Cupido, per avermi concesso l’onore di accompagnarla in una delle sue cacce amorose. Non potrò mai palesarle la mia gratitudine per questo attestato di magnanimità, né comunicarle quanto il mio cuore grondi di fervido...
- E basta, somaro! Non farmi pentire di averti portato con me. Sei il più tedioso dei miei assistenti. Allora, sistemati meglio su questa nuvola e fammi capire se hai messo a frutto le mie lezioni. Vedi qualche soggetto interessante?
- Certo, Mister Cupido. Il parco è il luogo ideale per esercitare le sue impareggiabili doti di suscitatore d’amore. Che ne dice di quella ragazza laggiù, quella con i capelli rossi e le lentiggini che legge Le memorie di Adriano sulla panchina accanto alla pista di pattinaggio? Mi sembra annoiata a sufficienza.
- Ottimo soggetto, ragazzo, dammi altre informazioni.
- Ecco, mi collego al database dell’Olimpo con il mio portatile. Segnalo al motore di ricerca minerviano le caratteristiche del nostro soggetto. Fatto. Allora, ragazza sola, lavora all’ufficio anagrafe del comune. Ama la Scozia e il film Il gladiatore. Si definisce “romantica all’eccesso” in un profilo su un sito di assistenza per persone sole. Canzoni: “Guido piano” e “Quello che le donne non dicono”. Ha un blog su cui scrive, con il nick di Genevieve31, lagnose poesie dedicate al suo ultimo ed epico amore.
- Perfetta. Incocco la freccia, prendo la mira. Alé, fatto.
- Magnifico tiro, Mister Cupido, se posso osare. Centrata sulla milza.
- In effetti avevo mirato al capezzolo sinistro, ma va bene lo stesso. E poi nessun arciere riuscirebbe a fare un tiro decente con un seccatore della tua risma che gli si agita davanti agli occhi.
- Bisogna subito trovarle un partner prima che il potere ammaliatore del suo dardo decada. Che ne direbbe di quel giovanotto dallo sguardo romantico laggiù? La sua scheda personale segnala che ha pure lui un debole per la storia romana e i classici, legge poesie di Garcìa Lorca e della Dickinson. Leggo qui che non esce più con una ragazza da… ehm, quasi dallo scorso millennio. Quel giovanotto ha disperato bisogno di amore. Non potrebbe esistere un soggetto più adatto al suo prossimo dardo, signor Cupido, signore.

- Ora ti metti pure a darmi gli ordini, sottospecie di un putto da robivecchi? Magari tra un po’ vorrai perfino che ti ceda l’arco per farti diventare il dio dell’amore al posto mio!
- Non credevo di dire niente di male.
- Sei un novellino, non sai niente di amore. Di questo sentimento hai la visione puerile tipica degli uomini. L’amore è una cosa seria, sofisticata, scientifica. Per capire nel profondo il suo funzionamento bisogna avere talento ed esperienza e tu non sei provvisto di nessuno dei due requisiti.
- Chiedo venia per la mia imperdonabile leggerezza, maestro. Ma a me quel giovanotto romantico e derelitto sembra andare più che bene. Se lei lo trafiggesse, faremmo solo del bene a due persone.
- Bah, inutile sprecare fiato con te. Guarda e impara.
- Sì, splendido colpo. La sua freccia ha centrato il petto del signore che mitraglia parole nel cellulare, quello accanto al laghetto delle oche che muove di continuo le labbra come se fosse innamorato del suono della sua voce. Parla così tanto che il suo interlocutore telefonico nell’ultima mezz’ora non deve aver avuto nemmeno il tempo di dire “Perdinci”. Nondimeno, io non so se…
- Cosa non sai, caricatura di un assistente?
- Faccio rispettosamente osservare che secondo il mio database virtuale l’uomo che lei ha colpito è già impegnato in amore. E’ sposato, con tre figli. Due divorzi e due amanti ufficiali, di cui una è addirittura la segretaria della sua azienda rivenditrice di macchine usate; l’altra potrebbe essere compagna di classe della figlia maggiore. Inoltre quell’uomo ha diverse relazioni occasionali con donnine più o meno allegre e, per di più, ogni anno organizza una spedizione, senza moglie o amanti, a Cuba o in Brasile dove si dedica al più sbracato turismo sessuale… qualche volta con partner di cui, ehm, davvero mi vergogno di ripetere l’età. Nell’ultimo decennio ha letto, gli ci sono voluti circa otto mesi, solo un libro intitolato Come fare soldi a palate e fregare il prossimo. E' sicuro che sia il miglior partner in amore per la delicata donzella che legge Le memorie di Adriano?

- Quell’uomo va più che bene, allocco. Se ha tante donne, significa che sa come trattare il gentil sesso e guadagnarsi il suo favore. Significa che sa suscitare emozioni e sentimenti profondi nei cuori femminili. Quell’uomo è come una squadra di pallone che ha vinto molte partite, ciò dimostra che sa giocare il gioco dell’amore.
- Ma signore, è un fedifrago di prima scelta! Già tradisce moglie e amanti ufficiali con altre donne. E farà senza dubbio lo stesso pure con la ragazza dai capelli rossi che lei gli ha buttato in pasto… cioè volevo che ha fatto innamorare di lui.
- Fingerò di non aver sentito il tuo irriguardoso piagnisteo. Certo, il rivenditore di automobili usate tradirà la ragazza delle Memorie di Adriano come ha fatto con le altre partner e un giorno il loro amore finirà così come finiscono tutti gli amori di questa terra. Però nel tempo in cui la frequenterà saprà suscitare in lei sentimenti lieti.
- Ma sono solo illusioni! L’amore di quella disgraziata ragazza sarà una cosa che non esiste e finirà male.
- Tutti gli amori sono basati su illusioni e finiscono sempre male. Il rivenditore di automobili usate è il partner ideale per quella ragazza. Quando ti sarai liberato del tuo fanciullesco sentimentalismo, mi darai ragione.
- E quell’altro uomo, il giovanotto che legge Garcìa Lorca e la Dickinson e che se ne sta tutto solo in quell’angolo di parco? Non potrebbe trovare qualcosa pure a lui? Non potrebbe regalargli un amoretto che lo aiuti a superare la delusione?
- Allora non mi stai a sentire? Il giovanotto è deluso perché ha dimostrato di non essere capace in amore. Quell’uomo è la famosa squadra di calcio che perde le partite. Se colpissi una donna al cuore facendolo innamorare di lui, gli insoddisfatti sarebbero due. E non è questo il nostro compito. Noi abbiamo il dovere di favorire e diffondere l’amore, rendere la gente felice, non viceversa.
- Signore, signor Cupido, guardi!
- Cosa dovrei guardare?
- Ecco, Mister Cupido, il puttanier… cioè il porco mandrill… ehm, volevo dire che il soggetto scelto da lei si è avvicinato alla panchina della ragazza con i capelli rossi e ha fatto amicizia con lei. Vede?
- Sì, la nostra piccioncina sembra già cotta di lui. Che cosa volevi dirmi?
- Be', il suo, uhm, protetto, mentre amoreggiava sulla panchina con la rossa romantica, ha già fatto l’occhiolino a due ragazze diverse.
- Benissimo, lo sapevo di aver scelto l’uomo giusto. Sono un genio, un impagabile benefattore dell’umanità!
- Sissignore signore, se lo dice lei… Ma almeno le macchine che vende sono buone?

venerdì 12 gennaio 2007

Poesia nell'Eden


Una blogger mi ha sfidato a mostrare la mia natura poetica, sollevando dubbi sulla sua esistenza. Mi spiace per questa amica, ma il mio anelito poetico e romantico non ha eguali in tutto il mondo virtuale. Eccone una chiara dimostrazione. :-)

Ehi, Eva, hai visto questo coso?
Quale coso, Adamo?
Ma questo coso di carne qui sul mio corpo, no? Ecco, ce l’ho in mano. Ho visto che tu non hai niente di simile.
Già.
Sai a cosa serve?
A fare la pipì?
La pipì la fai pure tu, ma il coso non ce l’hai.
E’ vero. Magari il tuo affare non serve a niente. Magari è una di quelle che i bioevoluzionisti futuri chiameranno mutazioni neutre.
Che cacchio stai a dì, Evuccia? Perché non parli come t’ha fatto mammeta?
Nun te scurdà che io mammema non l’ho avuta.
Eh già, nemmeno io. Una vera sfortuna, perché di certo loro avrebbero saputo che roba è quest’affare.
Aspetta, fammi vedere una cosa.
Ahiaaaaaaaa!!!!! Sei impazzita? Che accidenti fai?
Volevo vedere se si allungava tirandotelo. Aspetta, forse se faccio più forte…
Dooooooooloreeee treeeemendoooooo!!!!!!! Le mie povere paaaaaaaa…. Mi schiacci le paaaaaaaahhhhhh….
Scusa, scusa. Non sapevo di farti male. Ora ti do un bacino sopra, magari ti passa la bua… Adamuccio?
Sì?
E’ strano, ogni volta che do un bacino al tuo affare, mi sembra che cambi forma.
Che assurdità, si vede che la desolazione di questo paradiso terrestre ti fa dare i numeri. Peccato che non sia stata inventata ancora la psicoanalisi, ci sarebbe utile a tutti e due.
No, guarda tu stesso. Più gli do i bacini e più cresce.
E’ vero. E’ diventato un bel po’ grosso. E ora perché smetti di darmi quei bei bacini?
Sai, Adamuccio, magari il tuo affare non è proprio una mutazione inutile visto che qui in mezzo alle gambe io ho una fessura, la vedi?
Certo, e allora?
Ma che dannazione, devo spiegarti proprio tutto?
Vuoi dire che io potrei cercare di infilare il mio… nella tua…?
Si può sapere perché gongoli come un cretino?
Che io sia dannato se lo so. Apri un po’ le gambe e vediamo se entra.

mercoledì 10 gennaio 2007

I cavalieri delle praterie metropolitane


Sono qui nella ristrutturata piazza Dante napoletana. Fa fresco, è bello camminare, ho comprato a soli due euro e mezzo un saggio tra storia e climatologia. Ho cercato una tastiera cordless da computer, ma nessuna mi ha convinto. Si è fatta ora di tornare a casa, mi dico.
Però a un tratto, sto quasi per uscire dalla piazza, mi blocco. C’è un suono, una strana melodia nell’aria. Prima ancora di riconoscerla mi si apre il cuore e sento le labbra atteggiarsi a un sorriso automatico. La melodia che odo è tratta, capisco ora, dalla colonna sonora dell’Ultimo dei Moicani. E’ quel motivo da brividi, quella specie di ballata irlandese su cui ho scritto un post di getto: "Eroe per sette minuti e mezzo". Torno subito sui miei passi e cerco di individuare l’origine della melodia.
Ecco. In un lato della piazza ci sono due ragazzi dai tratti esotici, abbigliati in costumi folcloristici da indiani pellerossa. I musicisti da strada in genere non mi fanno effetto, ma questa volta mi fermo a osservarli. La musica che ti rende eroe per sette minuti e mezzo è trascinante come al solito e i ragazzi esotici la rinvigoriscono con grida gutturali, movenze antiche e suoni tratti da etnici strumenti a fiato o a percussione. Sono assolutamente conquistato dall’atmosfera creatasi nella centrale piazza napoletana. Rido, io che non lo faccio mai, e ballo o almeno batto i piedi a terra, io che non lo faccio mai. Ascolto in silenzio con una gran voglia di applaudire, se non l’esibizione dei musicisti esotici almeno le emozioni intense che regalano a me e agli altri napoletani fermi ad ascoltarli. Qualcuno dice che sono veri pellerossa, dice nativi americani, che fa pure più politicamente corretto. Quell'informazione rende più suggestivo il momento.

La musica che ti rende eroe è finita. Ne parte una seconda. Il più basso dei musicanti da strada canta una bella canzone che ti fa pensare alle praterie senza fine, al vento che sferza la tua pelle mentre ti giunge l’eco di una sterminata mandria di bisonti in movimento. Il suo compagno, seminascosto da un copricapo di penne che a dire il vero sembra acquistato con i saldi a Cinecittà, abbozza una danza dalle lente movenze. Non so cosa penso, ascoltando musica, canzone e antiche grida gutturali. Sto bene e guardo gli altri spettatori. Bambini, ma pure adulti. Hanno gli occhi lievemente dilatati e brillanti come so che sono i miei in quel momento. Li guardo e capisco. Non è ciò che sentiamo. Non sono la musica e il canto. Non la danza o i costumi. E’ qualcosa che è dentro di noi. Questo ci fa sorridere. Qualcosa dentro di noi, che i ragazzi esotici di piazza Dante hanno il potere di risvegliare con la loro melodia.
So cosa pensiamo io e quelli che mi sono vicino. Vorremmo trovarci da un'altra parte. Lontano dalle luci natalizie e dai palazzoni che nascondono il mondo, lontano dalle fermate affollate di autobus e dalle masse brulicanti di alieni che sciamano sui marciapiedi metropolitani. Vorremmo stare in un altro posto, tutti noi che ci siamo fermati ad ascoltare la musica etnica.

Nel momento più coinvolgente del concerto improvvisato, quando la voce del ragazzo basso fluttua nell'aria come quella di uno sciamano irochese inneggiante al Grande Manitù, ecco che accanto a me si ferma una coppia sulla quarantina che catalogo come marito e moglie. L’uomo vorrebbe ascoltare, la moglie ha un sorriso scettico sul viso. “Ma sono i peruviani riciclati di ieri?” mi chiede cercando di trascinarsi dietro il marito recalcitrante.
Le spiego che a quanto ho sentito sono veri indiani pellerossa.
La donna smette per un attimo di tirare la mano del marito e mi lancia uno sguardo ironico nel più puro stile Desperate Housewives. “No”, dice sicura, “ieri qui c’erano due peruviani che non combinavano un granché. Assomigliavano molto a questi due. Si vede che si sono riciclati come indiani.” La maledetta linguacciuta ha un ghigno cinico sul viso; è chiaro che sto comunicando con il più genuino prodotto da moderna metropoli. Questa qui deve sguazzarci alla grande nella vita di città, forse è perfino contenta di aggirarsi in mezzo ai boati dei petardi e al frastuono del traffico, ai casermoni spacciati per case e all'aria corretta al monossido di carbonio.
Mi dà talmente fastidio il tono di questa tizia che ribatto piccato che quelli sono due veri indiani, anzi sto quasi per giurare che sono gli eredi diretti di Toro Seduto a Little Big Horn o di Cavallo Pazzo a Wounded Knee, e la fisso sfidandola a mettere in dubbio le mie parole. Stavolta è il marito che si tira via la moglie per evitare grane.
Torno ad ascoltare il finale della canzone. Peruviani riciclati? Chissà, forse sì. I due ragazzi esotici in effetti sono un po’ troppo chiari di carnagione e non sembrano avere i tratti che si associano agli antichi cavalieri delle grandi pianure. Ma che siano peruviani riciclati o genuini Sioux, che importa? Ciò che davvero conta, mi dico tornando a sorridere, è il mondo straordinario che hanno risvegliato dentro di noi. Il brandello di sogno che ci hanno regalato in questa stanca piazza napoletana.

mercoledì 3 gennaio 2007

In memoria di antichi eroi della matita

In un post ho indicato il momento più felice della mia vita quando comprai un giornaletto con i supereroi della Marvel (era una storia dell’Incredibile Devil). Probabilmente sono stato un pizzico provocatorio nell’occasione; e in ogni modo mi ha influenzato un articolo del grandissimo Isaac Asimov, in cui l'inventore del Medioevo galattico collegava il massimo della felicità all'acquisto, da ragazzino, di una rivista di fantascienza del genere pulp in auge nell’America degli anni Trenta. Ma forse né io né, a un livello ben più alto, Asimov abbiamo esagerato.

Tanti anni fa, nei primissimi anni della pubblicazione degli albi della Marvel-Corno, ero immerso e sognante in un mondo meraviglioso come solo un ragazzino può fare. Per me, e sicuramente per altri, i fumetti dei supereroi creati dal mitico Stan Lee non erano solo albi da leggere e mettere via, ma da conservare con cura, da consultare di continuo, da accarezzare con devozione. Insomma erano oggetti con cui avere un contatto fisico continuo. A quell’epoca ricordo che conoscevo a memoria quasi tutti o forse tutti i titoli delle prime quattro pubblicazioni marveliane (Uomo Ragno, Devil, Thor, i Fantastici Quattro). Un titolo che ricordo ancora adesso è “Superbattaglia tra supereroi” (era un avventura che vedeva contrapposti da un lato i Fantastici Quattro senza la Donna Invisibile, e dall’altro L’Uomo Ragno e Devil assistiti da un Thor con i poteri dimezzati dopo la solita litigata con il padre Odino). Spesso mi scrivevo su pezzi di carta i nomi di tutti i supereroi e, su un’altra colonna, quello dei supercriminali, e mi divertivo a farli scontrare tra loro. Cercavo di provocare duelli inusuali facendo affrontare per esempio Kraven il Cacciatore, tipico avversario dell’Uomo Ragno, con Devil, e mandando gli antagonisti di quest’ultimo a scontrarsi con altri difensori del bene. Facevo anche di più. Creavo gruppi di supereroi inediti e li facevo battagliare, sul solito pezzo di carta, con altri gruppi di supereroi altrettanto inediti, cercando di compensare i loro poteri per rendere lo scontro equilibrato.

Infine mi appuntavo i nomi di tutti i disegnatori e inchiostratori che conoscevo. Erano innumerevoli, così come erano pochi quelli dei soggettisti, in effetti in quest’ultima categoria non ricordo che il mitico Stan (l’uomo) Lee e Roy (il ragazzo, almeno credo) Thomas.
Ecco la lista dei disegnatori da me preferiti. Il più grande per me era John Buscema, ha disegnato un po’ di tutto, ma io lo ricordo soprattutto per Thor e Conan il Barbaro. Lo consideravo una spanna sopra gli altri. E non riuscivo a capire la cagnara che si faceva per l’abbandono della Marvel di Jack Kirby (il Re: nella Marvel qualsiasi disegnatore o soggettista aveva un soprannome, Kirby era il Re e Stan Lee era il citato “L’uomo”). Ricordo che la rubrica della posta era tutto un chiedere “Ma quando tornerà Jack?” Oppure “Ho saputo che il Re è tornato alla Marvel, quando potremo rivederlo in Italia?”. Perché fanno tutte queste lagne su Kirby, mi dicevo, quando qui ogni quindici giorni abbiamo in edicola il più grande disegnatore di fumetti mai esistito, ossia il michelangiolesco John Buscema creatore di figure umane potenti e scultoree?
Al secondo posto mettevo a pari merito John Romita (Uomo Ragno) e Jack Kirby (non ho mai detto che non mi piacesse, solo che non lo consideravo il migliore: i personaggi lievemente deformi di Jack erano comunque espressivi come pochi). Mi piacevano anche George Tuska (Iron Man)e Wally Wood (Il primo Devil). Buoni i Severin e Bill Everett.
Detestavo Barry Smith (il primo Conan), mi pareva proprio che non sapesse disegnare così come Gil Kane, Neal Adams e Ross Andru. Trovavo originale e molto espressivo lo stile di Gene Colan – maestro indiscusso di Devil - ma talvolta duro da mandare giù. Lo stesso discorso, anche se a mio avviso a un livello più basso, valeva per Steve Ditko, ossia il primo disegnatore dell’Uomo Ragno. Tra gli inchiostratori, solo gli inossidabili Joe Sinnott e Jim Mooney erano garanzia di qualità.

Con una ricerca con Google ho trovato i nomi di molti disegnatori della Marvel di epoca storica. Molti dei disegnatori sottostanti non li avrei mai saputi citare a memoria, ma ogni singolo nome ha per me un preciso significato, capace di riprodurre nella mia mente uno stile artistico inconfondibile, un brandello di storia o un personaggio. So che alla quasi totalità dei viandanti virtuali non potrebbe importare di meno della lista che riporterò qui sotto e che quasi nessuno si sognerà di leggerla… ma io provo lo stesso il bisogno di scrivere – stavo quasi per dire incidere sul marmo virtuale - questi nomi straordinari che nella mia mente e nel mio cuore sono percepiti come antichi eroi delle cui gesta non svanirà mai il ricordo.

Archie Goodwin, Gerry Conway, Stan Lee, Roy Thomas (soggettisti).
Jack Kirby, Johnny Romita, Steve Ditko, Dick Ayers, Joe Sinnott, Rick Buckler, John Buscema, Sal Buscema, Mike Ploog, Gil Kane, Carmine Infantino, John Byrne, George Perez, Jim Mooney, Jim Starlin, Don Heck, Jim Steranko, Vince Colletta (per lo più inchiostratore), John Tartaglione, Herb Trimpe, John e Mary Severin (talvolta anche da soli), George Tuska, Ron Wilson, Al Milgrom, Bill Everett, Mike Vosburg, Neal Adams, Tom Palmer (per lo più inchiostratore), Frank Giacoia, Werner Roth, Dave Cockrum, Al Williamson (spesso inchiostratore). E ancora Ross Andru, Barry Smith, Jay Gavin, Frank Miller (agli sgoccioli dei '70), Gene Colan, Joe Orlando, Wally Wood, Bob Powell. Frank Brunner (dottor Strange), Joe Simon, Art Simek, Mike Esposito, Chic Stone, Al Williamson, Rudy Nebres.

Che Dio vi ricompensi come meritate, ragazzi.