mercoledì 28 febbraio 2007

Ho un cul cool


Ho un cul cool
a forma di tucul
che suona il soul
quando c'è la moon.

E' sempre in pool
il mio cul cool
quando c'è da fare boom
nel mio bathroom.

Sentendomi un Dracul
dissi un dì al nottambul cul
“Qui non siamo mica a Kabul
Vedi di sparare più beautiful”.

"Mangia più good food"
Rispose il cul, "e i miei boom
Spanderanno un profum
Che farà dir alle girl Wonderful!”

"Wonderful, il tuo profum, o cul?"
Chiesi prima di un nuovo rincul.
"Non ti prendo per il cul"
Giurò, "tira col naso su
E ringrazia la tua fortun
Questo è Chanel numero Ventun".

domenica 25 febbraio 2007

Dico


Dico che che l’amore è un argomento molto più importante della caduta o della non caduta di un governo. C'era un punto interrogativo, ma l'ho tolto.
Si farà un altro governo, un Prodi bis, un D’Alema Revenge, un Marini Balnear, un Mastella Padella, un Berlusconi The Return, un Tutti i Tecnici del Presidente. Potrebbe rientrare in ballo, chi lo sa, perfino Andreotti l’Immortale. Il Re è morto, viva il nuovo governo. Chi avvertirà la mancanza del vecchio esecutivo? Chi sentirà che la sua vita è terremotata dalla caduta di Prodi o di un altro Presidente del Consiglio? Ma se cade il tuo amore e non viene sostituito, di certo te ne accorgerai. Se scompare una persona cara al tuo cuore, non c’è alcun dubbio che la tua vita verrà terremotata, che proverai dolore e spargerai lacrime.

Dico che l'amore è un argomento più importante di guerre, lotte sociali, rivoluzioni. C'era un punto interrogativo qui, ho tolto pure questo. Non ho dubbi sul fatto che guerre, lotte sociali e rivoluzioni vengano, sulla scala delle priorità esistenziali, dopo il sentimento che mette insieme due esseri umani rendendoli uno. Il mio è solo un modo di riprodurre l’abusato e ingenuo “Fate l’amore e non fate la guerra”? Potrebbe darsi, ma è certo che nelle gerarchie vitali l’amore viene prima della guerra e che anzi quest’ultima deve solo considerarsi un sottoprodotto della spinta riproduttiva umana di cui il principe dei sentimenti è componente essenziale e precipuo.
Dico che l’amore sopravanza arte e letteratura, filosofia e scienza, musica e poesia. Anche qui, è chiaro, era piazzato un punto interrogativo che ora è sparito. Nessuna incertezza sul fatto che tutte quelle discipline siano soltanto prodotti di scarto, più o meno incidenti di percorso dell’impulso alla procreazione di cui l’amore è componente essenziale e prioritario. Nessuna incertezza sul fatto di aver detto la verità.

Dico che l’amore pesa perfino più della tua stessa vita. Dico che questo sentimento viene prima della difesa della tua esistenza. E tanti saluti al segno di interpunzione cancellato, che era più debole di quello attuale.
Lo so che non mi credi, amico mio. Mi pare di vedere la tua faccia sbalordita. Ti starai chiedendo se sono impazzito o se mi sono preso qualche attacco di romanticume fanciullesco alla Figli dei Fiori. Per quanto ti riguarda, starai pensando, non ricordi nemmeno l’ultima volta che ti sei innamorato. L’amore? Boh, chi l’ha visto? Hai scordato cos’è questo sentimento, dubiti perfino che esista e anzi ti fai delle gran risate quando ti imbatti in omaccioni grandi e grossi che ne parlano senza vergognarsi. L’amore non c’è, pensi, e se pure ci fosse sarebbe una cosa molto diversa da come viene normalmente percepita, molto più prosaica
Questo discorso ci porterebbe lontano, ti dico solo questo. Se tu fossi innamorato - innamorato sul serio - e dovessi scegliere tra l’amore e la morte, probabilmente sceglieresti la seconda. Non fare quella smorfia incredula. Non sorridere con quel cinismo di chi la sa lunga. Sceglieresti la morte non perché sei un eroe. Non perché sei un temerario capace di lanciarsi in una pazza carica dei Seicento a Balaklava… Lo sappiamo tutti e due che sei un bravo ragazzo della porta accanto che non vanta gesta epiche. Lo sappiamo che eviti di litigare con il prossimo anche quando per strada ti chiamano Mezzasega, o quando qualche furbastro ti passa davanti nella fila all’ufficio postale. E’ inutile pure ricordare che la tua ultima scazzottata risale ai tempi del liceo, occasione in cui ne hai prese un bel po’, anche se qualcuna l’hai data pure tu. Io ti dico questo, coraggioso o non coraggioso, incosciente o non incosciente, se dovessi difendere la persona amata a prezzo di sacrificare te stesso, lo faresti. Non perché sei un eroe, non perché sei un pazzo. Sceglieresti la morte perché il tuo cervello ha delle priorità. Ha una scala di importanza che è stata stabilita tanto tempo fa, quando l’uomo non era ancora uomo, quando non era stata ancora inventata la parola. Tra due beni in conflitto, il tuo cervello deve scegliere il bene maggiore, quello che l’evoluzione ha selezionato come il fine più importante. E su quella scala di priorità definita tanto tempo fa c’è scritto questo: l’amore viene prima della tua stessa vita. O è così o tutti quelli morti per amore sono pazzi: e allora la Storia sarebbe piena di squilibrati.

venerdì 23 febbraio 2007

Marco Pantani eroe nella bufera


Marco Pantani pedala nel gruppo dei ciclisti che lottano per vincere questo Tour de France del 1998. E’ la tappa più dura della competizione ciclistica più importante del mondo, quella che prevede la scalata della vetta del Galibier. Pantani ha un notevole ritardo in classifica dalla maglia gialla Jan Ullrich e in più è penalizzato dalla lunga tappa a cronometro finale, dove secondo ogni previsione perderà altri preziosi minuti dal potente tedesco che già una volta lo ha umiliato in questo tipo di gara contro il tempo. Oggi è la sua ultima e unica occasione per far sì che un italiano torni a vincere il Tour a oltre trent’anni dall’ultimo successo tricolore di Felice Gimondi.
Però anche il tempo si è accanito contro l’esile Marco Pantani. Piove, cioè nevica, e fa freddo. Più si sale e più il tempo peggiora. Gli elicotteri addetti alle riprese aeree sono incatenati a terra dal maltempo. Ormai le figure dei ciclisti sono sempre meno nitide e tutto lascia pensare che un banco di gelida foschia più denso degli altri possa inghiottire da un momento all’altro il gruppo di testa. Le condizioni meteorologiche avverse a detta di tutti gli esperti sono favorevoli alla ben più possente corporatura della maglia gialla della competizione ciclistica.
Oggi tutto congiura contro il campione di Cesenatico, del resto nessuno credeva sul serio che potesse vincere il Tour dopo aver dominato il Giro d’Italia suscitando un entusiasmo che in Italia non si vedeva dai tempi in cui le vittorie ciclistiche impedivano le rivoluzioni. Vincere Tour e Giro nello stesso anno? Assurdo, come potrebbe il pur simpatico Pirata, eguagliare un’impresa riuscita solo a un pugno di assi come il Campionissimo Coppi o il Cannibale Eddy Merckx?

Anche le immagini trasmesse dalla televisione mostrano che la tappa è segnata. Il gruppo è dominato dalla sicura pedalata del tedesco Ullrich, che fa l’andatura torreggiando anche fisicamente sugli avversari, mentre Marco Pantani si vede e non si vede, una figuretta sparuta e timida seminascosta nel gruppo dei gregari. La pioggia rinforza via via che si sale sulla vetta alpina, una bruma che sa di inverno ammanta le riprese televisive come se fosse un filtro fotografico. A tratti scrosci di nevischio ti sferzano la faccia intirizzita frustati da raffiche di vento maligno. Quale luglio, questo pare il più carognesco gennaio! Tutti davanti o dentro gli schermi televisivi sembrano pensare la stessa cosa: mi spiace, Marco, ci hai tentato, ma questa non è proprio la giornata per te, questo non è il Tour per te, cerca di pedalare in difesa e vedi se riesci a conservare la tua attuale posizione, perché un secondo posto al Giro di Francia è comunque un eccellente risultato.
Però ecco a un tratto che accade qualcosa che ribalta ogni nera previsione. Una sparuta sagoma esce dal gruppo e lancia in una sola volta la sua sfida alla montagna, alle intemperie e agli uomini. Il Pirata scatta danzando sui pedali con la caratteristica andatura che lo rende simile a un ballerino con un senso sublime del ritmo.
Pantani va su.
Pantani va e nessuno riesce a stargli dietro.
Ulrich cede dopo poche pedalate. Leblanc non ci tenta proprio di stargli dietro. Gli altri corridori fanno la sola cosa che gli è consentita, guardare e magari ammirare o imprecare.
Pantani va su sconfiggendo la tempesta in un modo che fa battere forte il tuo cuore.
Pantani sale come un angelo nella bufera.
Non la sentiamo, noi che siamo davanti al televisore… non la sentono nemmeno i corridori che arrancano sul massiccio alpino, ma ci deve essere una musica sottile che echeggia nella tempesta di neve, una musica che scandisce ogni pedalata di Pantani e gli permette di danzare in quel modo sulla bicicletta.

Ho visto due nazionali di calcio vincere il campionato del mondo contro ogni pronostico e superando ogni avversità, anche e soprattutto quella rappresentata dai giornalisti italiani, ho visto il grandissimo Milan di Arrigo Sacchi e Van Basten assicurarsi l’accoppiata Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale due volte, ho visto Maradona giocare a Napoli come se fosse il messaggero divino che molti ancora lo ritengono in questa città, ho visto la strabiliante Olanda di Johan Cruijff dare spettacolo come una squadra di extraterrestri, ho visto Pietro Mennea vincere la medaglia d’oro olimpica nei 200 metri dopo una spettacolare rimonta sul rettilineo finale che affrontò da ultimo o quasi. E poi Carl Lewis, Bjiorn Borg, Steffi Graf, Mark Spitz, Ray Sugar Leonard, Nadia Comaneci e i fratelli Abbagnale commentati da un Giampiero Galeazzi più pazzo di un drogato o più drogato di un pazzo….
Eppure nessuna impresa sportiva mi ha mai dato una gioia così perfetta, inattesa, duratura, perfino imbarazzante nelle sue manifestazioni, come quella conferitami dal capolavoro di Marco Pantani al Tour del 98. Nessun sorriso sportivo, lo so, supererà mai quello che mi sentivo sulle labbra quando Marco scattò nelle nebbie tempestose del Galibier, facendo il vuoto dietro e danzando sulla bicicletta come un essere sovrannaturale, un Fred Astaire della pedalata. La gioia perfetta che provavo era temperata soltanto dal dramma in cui piombò il tedesco Ullrich, lanciatosi all’inseguimento del folletto di Cesenatico e schiantato dal ritmo forsennato dell’antagonista. Vedere la maglia gialla arrancare sulla bicicletta, distrutto nel fisico e nell’animo, vanamente spronato e sostenuto dai suoi compagni di squadra, baciato dal suo luogotenente Riis come se fosse il figlio prediletto caduto in disgrazia, dava tutta la misura della grandezza dell’impresa del Pirata in quel freddissimo giorno di luglio al Tour.
Non credo che proverò mai più una gioia così totale e piena per un’impresa sportiva.

domenica 18 febbraio 2007

Il blog è meglio della vita?


A prima vista sembrerebbe una domanda assurda. A prima vista sembrerebbe una questione che può ricevere minori consensi perfino di una dichiarazione pubblica a favore della mafia o della pedofilia.
Il blog è meglio della vita? Il virtuale è meglio del reale?
Tuttavia bisogna riflettere con serenità. Analizzare la situazione senza pregiudizi, basandosi sui fatti. E quali sono i fatti? Il primo è piuttosto grosso ed evidente. E’ la circostanza che noi siamo qui. In questo spazio virtuale. Scriviamo post, leggiamo, rilasciamo commenti, stabiliamo relazioni virtuali, ci conosciamo, ci innamoriamo, litighiamo, ci consoliamo a vicenda, comunichiamo, ridiamo. In una sola parola viviamo qui. Non tutti evidentemente lo fanno allo stesso modo, non tutti sono presenti con la stessa assiduità. C’è chi va e chi viene, chi rallenta e chi accelera, chi fa una pausa e chi da una pausa esce. Ma tutti noi, ogni volta che ci troviamo in queste lande eteree, facciamo un semplice ragionamento. Riteniamo che sia meglio trovarci qui che da un’altra parte. Reputiamo che sia meglio impiegare il nostro tempo così, tra post e nick altisonanti, che in un altro modo. Ogni volta che ci troviamo sul blog giudichiamo che questo mondo possa darci qualcosa di diverso e probabilmente di meglio della vita reale. E’ difficile dare spiegazioni differenti, altrimenti non si capisce perché non utilizziamo il nostro tempo per farci un solitario alla spider, una passeggiata con gli amici o qualsiasi altra cosa.

La seconda domanda sul tavolo è semplice. Se anche fosse vero che ragioniamo così, e non è detto, a che cosa potrebbe essere dovuta questa nostra apparente preferenza per il virtuale contro il reale?
Una riflessione terra terra suggerisce che noi blogger abbiamo vite reali insoddisfacenti, carenti di emozioni e gioie, e che quindi cerchiano di procacciarci in queste contrade virtuali ciò di cui avvertiamo la mancanza. In verità non mancano tra noi, lo sappiamo bene, casi di persone con problemi anche gravi, gente che sta male, depressa o scontenta, in cerca di amici o amori, o anche solo di una buona parola o di un orecchio benevolo in ascolto. Eppure le cose non sono tanto facili, perché in mezzo a noi, e sappiamo pure questo, ci sono altri individui più fortunati che non paiono oberati da insuperabili guai esistenziali. Alcuni ridono e scherzano. Fanno Ciaooooo e fanno eheheheheh, fanno smaaaaack. Hanno la ragazza e che ragazza, la moglie e che moglie, un lavoro buono e perfino invidiato, figli educati, famiglie equilibrate, un mucchio così di amici da telefonare a tutte le ore e abbastanza soldi da farsi le vacanze ai Caraibi o nella savana africana. Questi altri blogger non sembrano annientati da prostrazione o delusione. Allora perché sono qui? Che ci fanno da queste parti? Le risposte non possono essere poi tante. O, a dispetto di ciò che potrebbe sembrare dalle loro vite private, non hanno (licenza poetica) una mazza da fare o reputano ciò che fanno qui più interessante e gratificante del loro andazzo quotidiano. Insomma, siamo alle solite, se stai nel virtuale non hai di meglio da fare o lo faresti.

Arrivati a questo punto potremmo rischiare di non capire niente senza introdurre, con tutte le cautele del caso, un nuovo concetto. E’ possibile, dico è possibile, che nel virtuale e sul blog in particolare si percepiscano spesso stimoli più forti e appaganti di quelli in cui ci si imbatte nella vita reale? Non potrebbe essere che l’immaginazione, che ha un ruolo fondamentale per interagire su internet, spesso abbellisca e modifichi le nostre esperienze e i nostri interlocutori virtuali rendendoli affascinanti quanto storie e personaggi usciti dalla penna di un Balzac o di un Melville? Facciamo un esempio per chiarirci le idee.
Allora, sei nella metropolitana e ti rechi come al solito al tuo poco avventuroso lavoro di scaldapoltrona dalle nove alle cinque, occupazione tra l’altro ottenuta con una sudatissima raccomandazione politica. Sbadigli in mezzo a torme di annoiati viaggiatori piuttosto inclini, come te, a rilevare le trascurabili differenze intercorrenti tra la loro esistenza e quella di eroi situati tra giungle del Bengala o delle Antille, accanto a figlie di Corsari Neri o a Marianne di Mompracem. A un tratto, dopo una frenata o un sobbalzo, una donna ti urta e sorridendo si scusa per la sua goffaggine. Si capisce che vorrebbe attaccare bottone con te. Purtroppo non è molto alta, non è molto magra, non è molto giovane, non sorride alla maniera delle sacerdotesse salgariane da sacrificare alla dea Kalì, parla con un certo accento dialettale e infine si mette addirittura le mani nel naso quando è nervosa, e ora lo è. Il tuo sguardo la seziona in lungo e in largo. E’ sulla trentina, la diresti divorziata da poco con a carico con un figlio introverso, forse fa la cassiera in un bar o la segretaria di qualche azzeccagarbugli, probabilmente deve occuparsi della madre malata e fa costante uso di pillole antidepressive. Liquidi in due parole il suo tentativo di conversazione. Dopotutto, ti dici, non sei ridotto così alla fame.
Bene, il tuo ragionamento non fa una piega. Hai precisi standard qualitativi in tema di donne ed è giusto attenerti a essi. Eppure come reagiresti se ti dicessero che la sventurata donzella liquidata in fretta e furia nella metropolitana è la stessa creatura che ti fa spasimare sul blog? Certo in quelle lande virtuali non si fa chiamare Maria Concetta o Annarella. Sul blog usa il nick di Lady Chatterley e scrive eleganti poesie d’amore. Non ha dato alcun ragguaglio sul suo aspetto, ma tu te la figuri alta e slanciata, con una pronuncia forbita, una creatura sofisticata e affascinante che per qualche motivo inspiegabile ha posato gli occhi su questo indegno mortale e accetta il suo corteggiamento. La notte, mentre resti sveglio nel tuo letto a immaginarla, ripensi al nick della tua interlocutrice e ti chiedi in quale altro posto del mondo potresti trasformarti nell’amante di Lady Chatterley con uno schiocco di dita.

Da quanto abbiamo argomentato, risulta evidente che il fenomeno del blog e del virtuale finisce per assomigliare in qualche modo a scenari da Matrix (liscio, Reloaded o Revolutions). Il virtuale che si impone sul reale. Qui sorge una nuova domanda. Che cosa avremmo scelto noi, al posto di Neo, Trinity e Morpheus? La vita vera, e magari un po' grigia, o quella più illusoria, ma indubbiamente più appagante che può farci percepire un computer? Mettiamoci una mano sul cuore e rispondiamo.

Le riflessioni di questo post, un pizzico provocatorie in certi passaggi, si riferiscono al blogger medio, quale mi ritengo pure io, che è sedotto dalla capacità di comunicare del mondo virtuale e di fare nuove amicizie. L'ironica vicenda sentimentale proposta è solo un esempio dei tanti e forti stimoli che si possono provare sul blog.

venerdì 16 febbraio 2007

Dio mi scampi dai best seller moderni


I best seller moderni? Spesso è meglio starne alla larga, come dimostra la mia esperienza di lettura del romanzo La verità del ghiaccio di Dan Brown, l’autore del Codice Da Vinci. E’ uno dei dieci volumi da me acquistati di recente e forse non avevo tutti i torti quando mostravo maggiore propensione per le gambe della ragazza, evocate nell’articolo precedente, che per le mie corpose spese librarie.
E’ un romanzo di quasi 600 pagine e credo sia afflitto almeno da quattro difetti principali di cui due, a mio modo di vedere gravissimi. Il primo difetto è promettere una cosa e poi non mantenerla. Questa è una delle regole basilari riscontrabili nelle prime pagine dei manuali di scrittura creativa. Nelle battute iniziali di una storia un autore stabilisce una specie di patto implicito con il lettore. Ci sono alcune promesse che l’autore fa con i primi paragrafi della sua prosa e che deve mantenere in ogni caso se vuole conservare la sua credibilità letteraria. Cioè se prometti un’avventura western, il tuo romanzo deve avere cow-boy e indiani, se prometti una storia con draghi e stregoni è essenziale che ci siano fiammate ed epigoni di Gandalf, se nelle tue prime pagine garantisci love story o sangue e arena, dovrai agire di conseguenza.
Ebbene il romanzo di Brown si presenta in tutto e per tutto, dal titolo, dalla retrocopertina, dall’impostazione generale, come una storia di fantascienza alla Michael Chrichton, ossia la scoperta di una forma di vita extraterrestre nell’Artico. Quest’annuncio già ti prepara a eventuali scenari a te cari, e cioè alla possibilità che il meteorite rinvenuto contenga virus letali potenzialmente distruttivi per vita terrestre, forme di vita intelligente che vogliono impossessarsi del pianeta, una Cosa dell’Altro Mondo ostile e potente o, alla peggio, un E.T. lagnoso minacciato dai cattivissimi militari o guerrafondai yankee.
Leggi le prime cento pagine del romanzo e la vita extraterrestre (e il successivo attacco alla terra) tardano a manifestarsi. Ne leggi altre cento e poi ancora altre cento e la vicenda collegata al meteorite alieno pare quasi una sottotrama, la storia del romanzo si svolge perlopiù a Washington e tratta degli intrighi politici in vista delle elezioni presidenziali americane.
A un certo punto risulta addirittura chiaro che non c’è nessun meteorite di origine extraterrestre, e men che meno forme di vita aliene che cercano di impossessarsi della terra. Quello che c’è è una lotta di potere alla Tutti gli uomini del Presidente. Devo ammettere che giunto a questo punto, mi sono incavolato parecchio. Mi sono sentito preso in giro dall’autore. Io non volevo leggere, non in quel momento una spy story politica, ma un robusto e se possibile appassionante romanzo su una minaccia dallo spazio o sul contatto con una civiltà aliena. Mi sono incavolato perché al supermercato ho comprato una busta di prugne secche della California e dalla confezione sono uscite olive nere di Gaeta.

Il secondo grave difetto del libro di Dan Brown a mio modo di vedere era la considerevole quantità di aria fritta che conteneva. Il romanzo consta di seicento pagine, ma ha materiale solo per arrivare alle duecento. E’ incredibile la successione di pagine e pagine in cui non succede niente, in cui si interrompe la narrazione, già lenta e inconsistente di suo, con pesanti e tediosi flashback sulla solita moglie amatissima e morta o sulla ugualmente amatissima madre morta pure lei. Per andare dal punto A a quello B Brown ci mette una vita. Facciamo un esempio. Mettiamo che tu sia stato convocato dal presidente degli Stati Uniti per una comunicazione privata. Ebbene ci vogliono quattro lunghissimi capitoli, intervallati da altrettanti capitoli di una trama secondaria di cui non ti frega niente, prima che l’abulico presidente si decida a dirti “Veniamo al motivo per cui l’ho convocata”. Devi sorbirti tutta la meticolosa descrizione del viaggio in elicottero, l’ugualmente prolissa rappresentazione dell’Air Force One e delle sue meraviglie elettroniche o del vestiario finto casual del tuo illustre interlocutore. Roba che puoi schiattare di bile prima di sapere che cazzo pretende da te il primo cittadino americano.

Altro errore del libro, errore piuttosto diffuso il letteratura, è la moltiplicazione dei punti di vista da cui si racconta la storia. Invece di concentrarsi su un personaggio principale che faccia da osservatore con poche eccezioni, ecco un proliferare di angolazioni visive, un senatore intrallazzatore, la figlia mandata in Artico, la sua segretaria in bilico tra carrierismo e moralità, una perfida assistente del Presidente che sembra tratta dal telefilm “West Wing”, gente della Delta Force, il presidente stesso, direttori di Nasa o di agenzie spionistiche, un paio di scienziati e Dio sa cos’altro. Il proliferare dei punti di vista è aggravato dal fatto che la maggior parte dei personaggi non sono per nulla interessanti, almeno per me, e ti spingono a qualche cauta imprecazione quando interrompono il flusso principale della storia con la loro irritante presenza a base di aria fritta.
Procediamo con gli elementi fastidiosi, ma ammetto che questo punto potrebbe riguardare solo me. E arriviamo all’insistenza pedantesca e perfino ossessiva che Brown dedica alla descrizione di ogni giocattolo tecnologico in dotazione alle forze speciali americane, fucili che sparano pallottole di ghiaccio, slitte supersofisticate, rivelatori elettronici microscopici, postazioni alla Mission Impossible per comunicare al sicuro da intercettazioni. E baaastaaaaa. Basta con tutte queste pagine di cazzate tecnologiche, amico. Dacci un po’ dei personaggi e storie credibili. Cerca di non soffocarci con tutta questo niente tecnologico. Dacci storie vere o verosimili, dacci personaggi, dacci amore.

Ancora due riflessioni finali. Mi mancano ancora un centinaio di pagine per finire il romanzo, ma non credo che nell’ultimo scampolo di libro ci siano improvvise invasioni aliene o che Brown si metta a scrivere all’improvviso come Tolstoj.
Sono comunque contento anche quando leggo un libro che non mi è piaciuto integralmente. Perché la lettura ti offre sempre motivi di spunti e riflessioni, come è accaduto pure in questo caso e con questo post.

mercoledì 14 febbraio 2007

Carico di libri, in bilico tra felicità perfetta e perfetta coglioneria


Sei giù di corda. Le cose non vanno. Hai la luna storta. Bisogna correre ai ripari. Che fare? Passeggiare, ascoltare musica, andare a cinema? No, questi sono palliativi buoni per lenire un poco di monotonia. Quando la situazione si fa grave, esiste una sola via d’uscita per far tornare il sorriso sul tuo volto rabbuiato. Shopping.
Eccola qui, la parola magica che tiene alla larga i cattivi umori: shooooppingggg!!!!

I problemi non sono finiti, perché esistono tanti tipi di shopping quasi per quante persone abitano questa valle di lacrime. Comprare, sì, ma che cosa? Di quali oggetti devi impadronirti per gratificare la tua anima abbacchiata? La scelta più facile sarebbe spendere in abbigliamento. Comprare pantaloni, felpe o scarpe alla moda per migliorare il tuo aspetto fisico e quindi il tuo ascendente presso gli altri. Ma c’è il problema che a te non te ne frega niente di come vesti, porti lo stesso tipo di jeans da un quarto di secolo e scarponi robusti, brutti a vedersi, ma ottimi per camminare. Allora che cosa comprare? Un telefonino di ultima generazione, un navigatore satellitare, qualche sofisticato ammennicolo da computer o perfino una pizza quattro stagioni? Ancora non ci siamo. La maggior parte di quegli oggetti è fuori dalla portata delle tue tasche (e poi non sapresti che fartene di un navigatore satellitare o di un odioso telefonino Facciotuttoio)… La pizza? Quella ti rimane sullo stomaco. Però a ben vedere non sei messo male. Perché c’è qualcosa che ti piacerebbe acquistare. I libri. Ne vai matto. Romanzi di avventura o saggi scientifici divulgativi. Ecco la direzione in cui puoi dirigere il tuo shopping scacciapensieri. E sei pure fortunato, perché nella tua partenopea città, e segnatamente nel luogo denominato Port’Alba, ci sono bancarelle dell’usato in cui puoi acquistare ottimi libri a poco prezzo.

Ieri ero un pochino a corto di buonumore e ho quindi deciso di dedicarmi al mio shopping preferito – che per mia fortuna è il solo shopping che posso permettermi – l’acquisto di libri usati. In tutta sincerità avevo poche speranze di trovare buone occasioni sulle bancarelle (ormai note ai frequentatori di questo blog) della napoletana Port’Alba. Infatti, arrivando da via Mezzocannone a piedi come mio solito, ho notato che le prime bancarelle non presentavano novità degne di nota e che per di più i prezzi risultavano per niente attraenti, da cinque a dieci euro. Poi a un tratto sono rimasto di sasso.
Una libreria nella quale a dire il vero non ci avevo quasi mai comprato niente era letteralmente gonfia di volumi nuovissimi, rilegati con cura, stampati in caratteri nitidi e grossi e perfino con le pagine che odoravano di nuovo. Il prezzo? Pareva un miraggio. Due euro a volume (per libri che spesso davano l’impressione di costare dieci volte tanto). Non credevo ai miei occhi. Ho occupato subito una posizione strategica sulle bancarelle, scalzando alcuni perditempo che rovistavano senza convinzione. Quindi ho cominciato a impadronirmi di romanzi su romanzi. A un tratto il proprietario della libreria mi ha invitato a scegliere la merce dentro la libreria, perché avevo accatastato tanti di quei volumi sulle bancarelle che impedivo l’accesso ad altri eventuali acquirenti.
Il mio bottino finale è stato di dieci robusti volumi, per una spesa di venti euro (cifra non irrisoria per le mie tasche, ma molto ben investita nell’occasione). Ho preso un paio di romanzi avventurosi di Wilbur Smith, qualche thriller tecnologico, un giallo ambientato in epoca vittoriana, un saggio di evoluzionismo di Stephen Jay Gould e un robusto volume di Vittorio Zucconi su Cavallo Pazzo e sulla tragedia dei Sioux. Ho stimato di essermi impossessato di qualcosa come cinquemila pagine stampate e il fatto di averle pagate solo venti euro mi dava una gioia profonda difficile da spiegare. Leggere qui per avere maggiori dettagli

Ovviamente il buon Dio ha ritenuto che la perfetta e travolgente felicità che percepivo, mentre sfociavo a piazza Dante con una voluminosa busta contenente libri più numerosi e pesanti di quelli dello zaino di uno studente secchione, fosse troppa per un semplice mortale… Ed ecco quindi che ha ritenuto di ammonirmi a non gioire troppo. Infatti, non ero nemmeno giunto a metà della piazza che mi sono bloccato sentendomi un coglione di quelli brutti. Diciamo pure uno di quei babbei calzati e vesti che sembrano ridicoli perfino nelle operette.
E’ accaduto che mi sono girato e ho visto alcune ragazze attraenti, di cui una magnifica in minigonna, che ridevano con giovanottoni ghignanti all’apparenza non troppo inclini al pensiero riflessivo. La situazione era più o meno la seguente. Qui nel mio pugno c’era la busta di libri che mi segava la mano con il suo onusto fardello e lì c’erano le gambe della ragazza, quella bella. Mi sono detto qualcosa che suonava come: ma che cazzo ho da essere felice?
Non mi resta che ringraziare il Cielo per avermi allontanato dalla lussuriosa gioia a cui a volte può spingerci la letteratura e avermi riportato nell’ambito della modestia terrena. Ora però comincio ad attaccare il libro di Zucconi sui Sioux. :-)

lunedì 12 febbraio 2007

Io e la mia cosa cosiamo

T3_4 Io e la mia lei ci intendiamo a meraviglia su tutto, tranne su qualche insignificante e del tutto risibile questione morfologico-linguistica.
Ad esempio io dico "questo amore" e lei invece dice "questa cosa". Io dico "il nostro amore" e lei "la nostra cosa". Io dichiaro vedendola "amore mio!" e lei replica con uguale trasporto "Coso mio!" Io la invito ad amoreggiare e lei accetta senza remore di coseggiare. "Deh", proclamo io in un impeto di lirismo omerico, "amor ch'a nullo amato amar perdona" e lei finemente proferisce "Tiè, coso, ch'a nullo cosato cosar perdona".

Lettera di raccomandazione a Dio (due post in uno)


Spett. e Preg. Sig. Dott. Dio, raccomando alla Sua distinta attenzione questa mia persona, sulla cui probità garantisco senza titubanze. Le dia un occhio di riguardo, Le trovi nella Sua infinita magnanimità una sistemazione adeguata. Non mancherò, Egr. Alt.mo Ill.mo Prof. Dio, di manifestarLe la mia tangibile e indefessa riconoscenza se avrà la cortesia di esaudire la mia richiesta.
La persona che raccomando alla Sua Celeste Attenzione è una blogger non troppo allegra. I suoi occhi malinconici sembrano aver visto le peggiori turpitudini del mondo, ma Lei potrà riconoscerla soprattutto, Signore Onnipotente, dal suo piedino cenerentolesco (ho una nipote di dieci anni che ha un numero di piede più cospicuo della Nostra), da una smorfia stanca del viso e dalla sua vocina che, per un miracolo di certo addebitabile alla Sua Divina Provvidenza, riesce sempre a giungere nitida all’orecchio dell’ascoltatore malgrado una sonorità da sussurro monocorde. Per completare il quadro, Le dirò che la mia pupilla produce una pregevole marmellata fatta in casa di cui usa far dono agli amici, tra cui il qui presente estensore della missiva.

Richiedo per la mia protetta i Suoi seguenti e solleciti interventi:

a) Il pronto ristabilimento di un sorriso sia pur larvato sul volto della Nostra.
b) Un vistoso incremento del suo tono di voce, talché la sua parola possa rintronare a distanze rimarchevoli anche senza gridare. Non mi aspetto, Signore e Creatore del Cielo e della Terra, che la voce della mia protetta si trasformi in quella del ciclope Polifemo doppiato da Amedeo Nazzari, ma gradirei che il suo nuovo e stentoreo parlare facesse tremare i vetri delle finestre e vibrare, almeno un pochino, i pavimenti.
c) Un partner sentimentale sensibile e affettuoso che le faccia superare una sua recente delusione amorosa – pubblicizzata in queste lande virtuali con larghezza di mezzi - e che possibilmente non si involi entro 48 ore dal conseguimento di certi benefici cari all’universo maschile. Mi mandi pure un drappello di aspiranti corteggiatori, sarà mia cura sottoporli a test attitudinali per valutarne la compatibilità psico-affettiva con la mia pupilla.
d) Qualche soldo in più per dedicarsi con maggiore agio allo shopping che la distrae nelle fasi di depressione. Non troppi, mi raccomando, Maestà del Cosmo, se no me la rovina rendendola un mostro di consumismo. Come avrà notato adora gli stivali, ecco, le faccia acquistare due o tre paia di stivali alla moda, robusti e con un bel rialzo, che le calzino a puntino sul calcagno (è molto esigente in questo) e siamo a posto.
e) Una massiccia dose di euforia primaverile e di voglia di procacciarsi nuovi amori al sopravvenire della bella stagione. Renda ardenti e suggestive le sue notti di maggio come nella canzone di Fiorella Mannoia.
f) Un appartamento a Roma adatto alle sue entrate economiche o, ove questo scenario fosse impraticabile a cagione del folle costo degli appartamenti capitolini, le conceda almeno coinquiline più socievoli e benevole.
g) Soprattutto la crassa risata. La sguaiata, scomposta, continuata e perfino volgare risata. Le conceda, Preg.mo Essere che Tutto Vede e Decide, la sghignazzata popolaresca che rende la vita più dolce. La faccia ridere come se fosse alla comica finale. La faccia ridere, ridere, ridere.
(“Ridere sempre così giocondo /Ridere delle follie del mondo / Vivere finché c'è gioventù / Perché la vita è bella / La voglio vivere sempre più.”)

All’atto di soddisfazione delle richieste esposte in questa mia, Magnif.mo Sig. Dott. Dio, sarà mia cura gratificarLa con le seguenti prestazioni d’opera:
- Un post celebrativo del Suo nome in cui dichiaro di aver percepito la Sua presenza in strada senza alcuna remora o dubbio.
- Altri post in cui decanto la beltà della Sua opera rimirabile nelle meraviglie della natura da Lei create.
- Un miglior trattamento dell’angelo custode che Ella graziosamente mi ha concesso alla nascita. Eviterò di cadere di nuovo polemica con il Suo inviato e soffocherò l’impulso, a volte irresistibile, di spennarlo vivo per la sua manifesta incapacità professionale.
- La possibilità per Lei di fregiarsi dell’ambito titolo di amico del qui presente Capitano.
- Il mio celere soccorso in caso di Sua necessità o difficoltà (non sorrida, tutti abbiamo bisogno di sostegno, magari, chi lo sa, pure Lei).

La saluto distintamente, certo che Ella soddisferà al più presto la mia richiesta,
Firmato: Mio Capitano

Questo post è dedicato ad Angelica ex Aladiah. E’ una ragazza speciale e dolce e come tutte le persone speciali e dolci soffre molto (come una bestia, si direbbe con un linguaggio libero) per le pene del cuore. Spero che questo post la faccia sentire meglio e le strappi un sorriso. Un passaggio di una canzone di Eugenio Finardi, “Musica ribelle”, sembra scritto apposta per lei, tranne per il fatto che l’angelica Angelica ha qualche anno in più della protagonista.

Anna ha 18 anni e si sente tanto sola
ha la faccia triste e non dice una parola
tanto è sicura che nessuno capirebbe
e anche se capisse di certo la tradirebbe.
E la sera in camera prima di dormire
legge di amori e di tutte le avventure
dentro nei libri che qualcun altro scrive
che sogna la notte, ma di giorno poi non vive.


Per gioco - dato che la protagonista del post ha mostrato di gradirlo - ho pensato di scrivere un secondo post sullo stesso argomento. I contenuti sono gli stessi, ma è cambiata l'impostazione dell'articolo.

A me gli occhi Angelica

A me gli occhi, Angelica. Guarda attentamente questo medaglione luminoso che ti oscilla davanti agli occhi e ascolta il suono ammaliante della mia voce. Fissa solo il dondolio del ciondolo e fatti cullare dalla potenza della mia parola. La braccia di Morfeo si allungano verso di te per ghermirti. La tua volontà sta cedendo a poco a poco alla mia. Senti che i problemi ti stanno lasciando. Non devi più interessarti a essi, non devi più provare ansia. Libera è la coscienza, libera è l’anima. Sono io che penso e decido per te. E’ la mia ferma volontà che domina la tua mente.
Le tue palpebre si fanno pesanti. Cedono. Hai voglia di dormire. Ma continua a seguire gli scintillii del medaglione. Abbandonati a me, abbandonati a me.
Ecco, ora sei pronta. Chiudi gli occhi e dormi. Sei in mio completo potere. Assoggettata alla mia egemonia, al mio capriccioso arbitrio. E’ la volontà imperiosa del Capitano che guida i tuoi pensieri. E’ sempre il Capitano che ti dice cosa fare. Mia è la guida, mio ogni fardello esistenziale. Sei del tutto soggiogata dalla mia malia seduttiva. Fa un cenno con la testa per dimostrare che ascolti le mie parole e che obbedisci a esse senza resistere.

Ora ti darò degli ordini e tu obbedirai a essi anche dopo che ti sarai svegliata e sarai tornata alla vita di tutti i giorni.
Prima di tutto renderai meno malinconico il tuo sguardo e più rilassata la tua faccia buia. Sorriderai spesso e con facilità. Non dico che lo farai con l’inusitata frequenza della tua amica Paola, ma gli angoli della tua bocca si piegheranno verso l’alto con una assiduità a te finora sconosciuta. Se hai capito il mio ordine muovi quel tuo piedino cenerentolesco verso me.
Molto bene. Ora passiamo a correggere una tua peculiarità che non ti aiuta a presentarti al mondo in maniera vantaggiosa. Mi riferisco a quella tua vocina sottotono che, certo per un miracolo addebitabile alla Divina Provvidenza, riesce sempre a giungere nitida all’orecchio dell’ascoltatore malgrado una sonorità da sussurro.
Ricordati che sei ipnotizzata e quindi obbligata a fare tutto ciò che desidero e che questo tuo obbligo permarrà anche dopo il risveglio. Ebbene, tra poco aprirai gli occhi e ti accorgerai di aver subìto un vistoso incremento del tono di voce. Noterai che la tua parola potrà rintronare a distanze rimarchevoli anche senza gridare. Non voglio dire che la tua voce si trasformerà d’incanto in quella del ciclope Polifemo doppiato da Amedeo Nazzari, ma il tuo nuovo e stentoreo parlare probabilmente farà tremare i vetri delle finestre e vibrare, almeno un pochino, i pavimenti. Puoi pure provare a gorgheggiare per verificare i cambiamenti vocali che già si stanno verificando in te. Perfetto, dovrai solo registrare meglio i toni e affinare qualche sonorità e poi sarai a cavallo. Mi raccomando, non esagerare con la tua nuova voce, non vorrei che tu mandassi in frantumi bicchieri e cristallerie.

Ora dobbiamo pensare a un partner sentimentale che ti faccia uscire dalla tua recente delusione amorosa, pubblicizzata con larghezza di mezzi in queste lande virtuali. Sarà un giovanotto sensibile e affettuoso e la tua nuova e più risoluta personalità gli impedirà di involarsi entro 48 ore dal conseguimento di certi benefici cari all’universo maschile. Ti rispetterà e ti amerà. Ti guarderà come se fossi avvolta dal cerchio di luce rilevabile nello sguardo d’amore (comunque ci sarà posto pure per una buona porzione di ardore nei suoi occhi). E non protesterà nemmeno troppo quando ti dedicherai al tuo shopping preferito, cioè all’acquisto di stivali alla moda, robusti e con un bel rialzo, né si spazientirà quando mercanteggerai con le commesse dei negozi di calzature per trovare un numero di scarpe che ti vada bene senza sembrare rubate a una mocciosa della prima comunione.
In ogni modo ti dedicherai con moderazione a questa tua debolezza, non vorrei che uscisse da questa seduta di ipnosi un’adepta del più intemperante consumismo. Sì, puoi pure sorridere, se vuoi. Tra poco lo farai così spesso che ti conviene allenarti già da questo momento se non vuoi intorpidirti i muscoli del viso. Anzi, sai che ti dico? Un volta sveglia riderai come non hai mai fatto. Conoscerai la crassa risata. La sguaiata, scomposta, continuata e perfino volgare risata. La sghignazzata popolaresca che rende la vita più dolce. Quando meno te lo aspetti, riderai come se fossi alla comica finale. Riderai, riderai, riderai. E canterai passeggiando nelle tiepide Notti di Maggio quasi con lo stesso trasporto con cui lo fa Fiorella Mannoia ("Io conosco la mia vita / e ho visto il mare / e ho visto l'amore vicino / da poterlo toccare").
Non c’è quasi più niente da aggiungere. Tra poco udrai schioccare tre volte le dita, ti sveglierai e non ricorderai niente di quanto ti ho detto, ma obbedirai a ogni mio ordine e sarai una persona più sicura e serena.
Ah, quasi scordavo. C’è quella faccenda della tua marmellata casareccia. Penso che potresti portarne un altro barattolo a quel tuo conoscente ammirevole e affascinante, aspetta come si chiama? Mi sfugge il nome. Quel blogger simpatico e brillante, educato e stimato a ogni latitudine virtuale. Ah, ecco, ora ricordo in nome, il Mio Capitano. Porta un po’ di marmellata al Capitano. Ma questo non è un ordine, solo un suggerimento.
Sblog, sblog, sblog. Svegliati, ora!

mercoledì 7 febbraio 2007

Charlot sono io


Charlie Chaplin sono io.
Sono io quando più straccione che mai per strada raccoglie con nonchalance principesca un mozzicone di sigaretta che però non fuma subito, ma conserva per i momenti peggiori (peggiori di quello?).
Sono io quando viene sbeffeggiato dai monelli strilloni di giornale, che gli tirano pietre come se non fosse già abbastanza disgraziato e malridotto così com’è.
Sono io quando nel profondo Nord dell’Alaska sbocconcella un suo scarpone lesso come se fosse una leccornia, perché in attesa di trovare l’oro non c’è niente di meglio che buttare giù un pranzetto a base di buchi di suola, pepati e salati come si conviene.
Io quando è abbastanza pazzo da andare in galera per racimolare i soldi con cui ridare la vista alla fioraia cieca di cui è innamorato.
Io quando si presenta a Giorgia, l’entraîneuse della Corsa all’Oro… e quando quella continua a spettegolare con una sua amica come se fosse invisibile, io quando pare finalmente che lei gli parli con amore e gli faccia gli occhi dolci, anche se poi viene fuori che parole innamorate e occhi dolci erano diretti al fusto faccia di bronzo di dietro.
Io quando passa la notte di Capodanno da solo nella sua catapecchia nel ghiaccio perché la scellerata Giorgia non si presenta all’appuntamento come promesso (non era una vera promessa, ma solo una presa in giro). Chaplin per distrarsi dalla delusione organizza una magistrale danza con forchette e panini in puro stile vaudeville? E io, si sa, sono con lui su tutta la linea.
Chaplin usa la lussuosa macchina presa in prestito dal miliardario - suo amico da ubriaco e suo disgustato nemico da sobrio - per recuperare cicche di sigaretta dal marciapiede? E io sono con lui.
Chaplin si nasconde dietro l’arbitro di boxe per sfuggire al pugile che affronta per amore della solita fioraia cieca? E siamo sempre in due a farlo e a inventare ogni trucchetto per non farci massacrare dal nostro avversario.
Eppure c’è un momento in cui sono più che mai vicino all’Omino più famoso della storia del cinema. E’ quando si incammina, straccione e miserabile, ma accompagnato dalla dignità di uno spirito libero, per una lunga strada gravida di promesse, con al fianco l’Amore sotto forma della donna della tua vita. Ecco, qui io e il Vagabondo siamo la stessa persona, qui la sua ombra è la mia.
Charlot sono io, Charlot siamo noi. Tutti noi che non abbiamo smesso di sognare. Tutti noi che prendiamo una mazza di scopa e la facciamo volteggiare come se fosse il bastone di un duca di altri tempi. Noi che poi ridiamo delle nostre fantasie su quella gentaglia, perché duchi, principi e riccastri moderni, in fondo, ci fanno un baffo.

Di recente ho rivisto due film, cioè due capolavori, dell’eroe cinematografico che amo da quando la mia età non aveva ancora raggiunto la doppia cifra. Sono La febbre dell’oro del 1925 e Luci della città del 1931. Li ho trovati, specie il primo, opere straordinarie, piene di trovate e gag da cui il cinema attinge da tre quarti di secolo senza freno (la gag della casa in bilico sul burrone in Alaska è stata ripresa con poche varianti da diversi film con i dinosauri, e Paolo Villaggio ha usato in quasi tutti i suoi film lo sketch del mangiare di nascosto a qualcuno che ci sorveglia ostile). Tuttavia c’è una cosa che quasi nessun cineasta moderno potrà copiare dal grande Chaplin e cioè la poesia infinita che sapeva infondere nelle sue pellicole, la grazia di un gesto, la profondità di uno sguardo mentre sopraggiunge la parola “Fine”.

lunedì 5 febbraio 2007

L'appello dei blogger


666 & c.
Presente.
Adelasia.
Assente da mesi.
Adipi.
Presente. Vista per gli auguri di Natale, ha parlato di Ischia.
Agro & dolce.
Presente. Ora è agra, ma tornerà dolce.
Aladiah.
Torna il 7.
Alice.
Quale Alice? Ce ne sono quattro o cinque almeno. Comunque la maggior parte è presente.
Alzataconpugno.
E' qui che aspetta ballacoilupi.
Amfortas.
Presentissimo, anche se ha cambiato casa di recente.
Ariela.
Presente, mi ha appena parlato di Mandrake.
Axel.
Boh, probabilmente è ancora da queste parti.
Barbara?
Assente. Magari tornerà tra non molto, ma bisogna considerarla assente per ora.
Blitz.
Non si sente più.
Butter.
Non classificabile.
Cappellaio matto.
Ha lasciato.
Carrie senior.
C’è, parla sempre del solito argomento, credo.
Carrie junior..
C’è, parla sempre del solito argomento, credo.
Catwoman.
Miaoooooo.
Claude.
Claude chi?
Cleide.
Presentissima e piena di vitalità.
Corinna.
Non toccatele Baglioni. Sì.
DanyD.
Tornata dopo un assenza.
Darjus.
Perse le tracce.
Dave71.
Idem.
Davideatzei.
Ha chiuso.
Devil Buio.
Manca sul blog da quasi un anno.
Diotima47.
Presente.
Donnie.
Andato, cioè volevo dire assente.
Elisir.
Presentenonviscordatedilei.
Elle.
Presentissima e sempre simpaticissima.
Falivenes.
Presente. Ho visto solo ora che è stata la prima persona a commentarmi sul blog e la ringrazio.
Filorosso.
Presente, ma studia.
Flavia.
Sì.
Frakkola.
E’ stata via tre mesi, ma poi è tornata, anche se non si fa vedere molto in giro, deve essersi presa una brutta batosta di quelle che si prendono i blogger.
Francesco Nubile.
Assente, dovrebbe aver chiuso il blog.
Fureste e furestelle.
Stamme ccà, nun ce verite?
Genny Nutella.
Presente, qualcuno deve averla vista tra la California e il Galles.
Giada.
Presente.
Giampaolo.
Presente.
Giovanni.
Presente, ma forse un blog non ce l’ha.
Grisù.
Ci dovrebbe essere.
Harley.
Non c’è, ma era di splinder.
Hellcat.
Presente e ama i fumetti della Marvel.
Il Giomba.
Presente, anche se non si sente da parecchio da queste parti.
Iltov.
Infondoaimieiocchi.
Presente.
Presente, non gli piacciono i fumetti, ma per il resto è occhei.
Indio.
Presentissimo con tutta la tribù dei Cherokee
Iris.
E’ un po’ latitante di recente, credo che stia studiando. Bisogna farle visita al più presto.
Irisblog.
Presente anche lei.
Isterica maltrombata.
Boh. E’ stata assente per più di un anno. Poi ha scritto un articolo contro gli uomini e credo contro un individuo in particolare e poi di nuovo assente.
Ivy Phoenix.
Non la sento da parecchio, ma c’è.
Jean Harlow.
Presente.
Jovelly.
C’è, anche se non si danna l’anima per farsi vedere. Lo prendo come un segno che le cose le vanno bene.
Killer.
Presenti lui e le sue barzellette.
La marea.
Sì.
La racchia.
Non è racchia, ma c’è.
La ragazza che sono.
E’ andata e non ci sono speranze che torni.
La stanza di Claudia.
Presente.
La strana g.
Persi i contatti, ma ci dovrebbe essere.
Laura.
Studia e traduce dal latino, presente.
Lyan Dyer.
Contro tutte le (mie) aspettative, c'è ancora.
Max.
Ha abbandonato. Simpaticissimo, tifoso del Napoli pur essendo lombardo.
Manouche.
Senz’altro presente, anche se non si sente da parecchio.
Marion.
Pronta, prontissima.
Margie Margot.
Ha avuto pure lei il suo bruttissimo quarto d’ora, ma è tornata. Presente.
Martina la signora delle ore scure.
Presente, credo abbia cambiato un po’ di nomi, ma è ancora qui.
Mary.
Quella “per sempre” è qui.
Mati.
Presente.
Matrix.
Presentissima e briosa come non mai.
Medusa.
Sì.
Michelle.
Presente, sembra in un buon momento.
Mikidepp.
Perse le tracce.
Mirko.
Sì.
Misia77.
Presente, credo, anche se non si sente spesso.
Miss Magda.
Non si sente da parecchio.
Nicocordola.
Dovrebbe esserci.
Nns.
L’ultima volta aveva scritto un post su Almodovar. Forse presente.
Oceanomare.
Forse assente o quasi.
Octopus.
Presente.
Paola.
Presente.
Particella di sodio.
Assente. L’ultima volta il suo blog era scomparso
Pea carl.
Presente.
Picciosa.
Presente e innamorata, forse con poche speranze.
Reed.
Presente alla sua postazione di dee-jay.
Remedios.
Si palesa con con moderazione, anche perché è impegnata in un’attività parecchio delicata.
Rita.
La blogger è presente.
Salem
Presente.
Sally.
Olé!
Sara angeledevil.
È occhei.
Serena ranocchia.
Assente. Il suo blog è scomparso
Settembre.
Presente con misura.
Shawn.
Scomparso.
Sibilla.
Presente.
Simona corrosempre.
Assente. Si vede che ha trovato posti più soddisfacenti in cui correre.
Skin.
Presente.
Sognobiondo69.
Si mette qualcosa addosso e risponde.
Somewhere.
Presente.
Ste.
Presente.
Sugarcim.
Presente a sprazzi.
The white.
Presente.
Tungsteno.
Si pensava che lo zio avesse abbandonato, ma c’è ancora. Ha aggiunto una nota di colore al suo blog.
Tuppa.
Molto dubbia la sua posizione.
Ulz.
Dovrebbe esserci.
Vanillaice.
Perse le tracce. Forse presente.
Venere di schiena.
Assentatasi con giustifica, è tornata.
Venerestorpia.
In vacanza.
Viola.
Assente.
Vitty.
Presente e sorridente.
Ziamaria.
No.

Ah, quasi scordavo. Mio Capitano?
“E risuona il mio barbarico YAWP sopra i tetti del mondo.”
Allora, il Mio Capitano è presente o no?
“Ma o cuore! cuore! cuore! / O rosse gocce sanguinanti sul ponte / Dove è disteso il mio Capitano.”
Il Capitano è qui o lo devo segnare assente?
“Capitano! mio Capitano! Alzati e ascolta le campane; alzati, / Svetta per te la bandiera, squilla per te la tromba, per te / I mazzi di fiori, le ghirlande coi nastri, le rive nere di folla.”
E la miseriaccia! Sei sempre il solito rompiscatole. Ti costava così tanto dire un semplice “Presente”?

Questo appello dei blogger di tiscali è necessariamente incompleto. Mi scuso con tutti quelli che ho tralasciato per disattenzione o per ignoranza.

giovedì 1 febbraio 2007

Guardare d'ardore, guardare d'amore


Prendi una donna, guardala male, falle capire che vuoi la sua carne. Guardale l’ampia scollatura che mostra l’attaccatura del seno e accarezza con gli occhi la liscia pelle delle sue sfere pettorali. Osserva le sue gambe lunghe e piene, fasciate di calze scure che ti incendiano la mente. Guarda le cosce fino al bordo della corta gonna chiara e augurati che un soffio di vento sollevi anche solo di un centimetro la balza di satin che ha imprigionato il tuo intelletto. E il sedere, mi raccomando, osservalo bramoso, fatti venire i sudori alle mani quando vedi in trasparenza sul quel polposo didietro il bordo delle minuscole mutandine indossate dalla nostra maliarda. E ora con lo sguardo e la fantasia lambisci gambe, polpacci e caviglie snelle, adagia il pensiero su quelle lucenti scarpe nere a punta, strette, sinuose. Guarda la fattura di quel piede di velluto e rimira quel tacco a spillo lungo quanto un pugnale malese, quello stiletto voluttuoso che pare trafiggere il tuo dolorante cervello.
No, caro amico, non sono d’accordo. I tuoi sono occhi pieni di sesso. Dov’è l’amore nel tuo sguardo?

Prendi una donna, guardala bene, falle capire che l’ami o che potresti amarla. Guarda la sua figura elegante. Osserva la grazia con cui si muove e la leggerezza con cui sembra sfiorare il suolo quando cammina. Trattieni un’esclamazione di incanto quando la vedi girarsi sul collo delicato per guardare te. Deliziati a fissare le sue mani snelle che danzano nell’aria per salutare un conoscente.
Guarda quegli occhi belli e quella chioma soffice che oscilla al vento caldo di questa mattina da fiaba. Hai notato che non ha tacchi? Hai notato che mancano quelle vivide chiazze rosse disposte tra unghie e labbra? Certo che lo hai notato, il tuo cervello è un supercomputer che percepisce ogni dato e lo elabora alla velocità della luce. E ora fa’ bene attenzione, perché il computer non ti basta più. Devi concentrarti. Non farti distrarre dalla ressa umana che ti sballotta alla fermata dell’autobus, dal frastuono delle auto, scordati di quelli che ti strattonano per la giacca per rifilarti pubblicità spazzatura o scroccarti qualche euro con la loro faccia finto triste. Fa’ presto perché la donna che stai guardando si allontana. Ci sei? E allora guarda l’alone che circonda quello splendore di femmina mentre incede sul marciapiede sulle sue scarpe basse. Guarda l’alone che avvolge il suo pullover color autunno dalle maniche che le arrivano fin sulle nocche delle dita. Ammira la freschezza della sua gonna lunga a fiori e delle sue mani sottili smaltate di rosa invisibile. Lo vedi l’alone che la illumina e la accompagna a ogni passo? Lo vedi quel cerchio di luce? Sai che significa? Significa: lascia tutto, pianta in asso questa gabbia di matti che ti circonda e segui quella donna. Attacca discorso con lei e cerca di indurla a parlarti e a vederti. Per quanto tempo, dici? Per tutto il tempo necessario per porle la domanda che senti nel cuore: “Vuoi essere la donna della mia vita?”.

Ci sono molti modi di guardare una donna, anche se spesso, non senza ragione, signore e ragazze giudicano gli uomini interessati a una sola cosa (bisogna pure dire che se vedi una vampira agghindata con sottane aderenti e trampoli le tue reazioni sono comprensibilmente obbligate).
Ad esempio pochi giorni fa ho rivisto un pezzo di Orgoglio e pregiudizio. Sono rimasto stregato dall'avvenenza di Keira Knightley, l’attrice che interpreta il personaggio di Elizabeth. Soprattutto dall'eleganza del suo portamento e dalla leggerezza dei suoi passi. Era uno spettacolo vedere questa attrice muoversi sullo schermo o seguire i movimenti del suo busto sottile, la trama assumeva un significato secondario. La raffinatezza con cui teneva su le spalle strappava applausi silenziosi. Davvero non ho mai visto spalle femminili tenute su con tanta eleganza.
Non tutte le donne, è ovvio, hanno i mezzi della Knightley, ma praticamente tutte, così credo, hanno frecce al loro arco. :-))