martedì 29 maggio 2007

Manuale di sublime stile letterario

Gentili olospettatori del quarantesimo secolo, siamo orgogliosi di annunciare una scoperta culturale che non esitiamo a definire epocale. In un sito archeologico di recente acquisizione, abbiamo rinvenuto una testimonianza espressiva risalente a circa duemila anni fa, ossia agli albori del ventunesimo secolo dopo Cristo.
Finora si riteneva che nessuna testimonianza umana fosse sopravvissuta alle due guerre nucleari e alle catastrofi climatiche intercorse da quel tempo remoto. Fino a oggi si giudicava che l’incommensurabile sapere degli Antichi ci fosse stato sottratto per sempre, che non avremmo scoperto mai dimostrazioni dell’eccellenza intellettuale raggiunta dalla civiltà umana al suo apogeo, vale a dire nel periodo a cavallo tra il secondo e il terzo millennio. Ora invece possiamo finalmente abbeverarci alla Fonte della Sapienza dei nostri lontani Maestri di Vita. Ci sono già arrivate le vivide congratulazioni del presidente della Confederazione Mondiale degli Stati Liberi e di tutti i massimi esponenti del governo e della cultura. Il reperto letterario da noi rinvenuto si trovava sull’hard disk di un computer di duemila anni fa. Con le ultime e più avanzate tecniche archeologiche siamo riusciti a recuperare una parte sia pure infinitesimale delle informazioni archiviate sul disco fisso. Tutti i nostri maggiori esperti di linguistica e di decrittazione stanno cercando di tradurre il piccolo brano letterario giunto fino a noi. Ma l’interpretazione del testo, senza dubbio a causa dell’immane spessore intellettuale degli Antichi, troppo superiori a noi dal punto di vista letterario e filosofico, incontra seri problemi.
Tuttavia pubblichiamo il prezioso testo di questa insuperata civiltà, sperando forse in un aiuto pur piccolo degli olospettatori. Ricordiamo che il governo ha stanziato la ricompensa di un miliardo di crediti d’oro per chi offrisse informazioni utili alla decrittazione di questo tesoro archeologico. Ecco il testo:

Sn kontenta ke 6 pass da me. Sn stata impegnatxxma. Xò anke il mio rag è inkazz xké pnsa ke ciò 1 + fiko di lui… eheheheheheh. Cmq sto bn e nn sn mika 1 raga skostum. Il mio libro è pubbl, il mio edit giura ke è 1 kapolav e ke ness1 skrive kosì bn. Io xò nn mi monto la test, anke se sn brvssma. Il mio squinzio romnzo è st trad8 in huskiese e bulldoghese, xò mi asp xlo- la trad in chihuahuese. Wowwww!!! Mi rakkom, kompra il mio lib, si kiama “Il diario di Anna Svamp”, c’è pure 1 s3pitoso 2ello dove mollo 1 kazz8 a 1 xfida s3ga ke diceva ke il suo raga era + fiko del mio. Cmq, nn asp, kompra il mio romnz. 9, 7, cioè 6 1 xfett amika, - male. Ciauz.

E baaastaaaaa!!!! C’hai rotto li kkkkkkkkkkkkkkooooooooo [bit deteriorati sull’HD]. Nun me ciuccioooooo manko ‘na pagina de Tex Viiilleeeer, ma puro si liggessi, nun me sciropperei mai le boiate che t’hanno pubblikkkkato, ‘a grandissima [bit deteriorati sull’HD]. E basta, sciò, aria, facce respirà su sto kkkkkaaaaa... [bit deteriorati sull’HD] de bloooggggheeeee.

Postilla tratta da un mio commento:
Molti avranno osservato il caso di una blogger avvistabile in ogni angolo di tiscali, anche nei più remoti cantoni e cantucci, anche nei circoli virtuali artici o antartici, anche nelle mitiche sorgenti del Nilo blogghifero. Potevi recarti nella più impenetrabile e ostile Africa virtuale e invece di incontrare l’esploratore Linvingstone avresti incrociato questa blogger che ti aspettava per rilasciarti un commentin commentino, in attesa di volare in qualche impervia regione del Karakorum per recapitare altri commentin commentini ad abominevoli uomini delle nevi titolari di un blog su tiscali (ma forse andavano bene pure gli yeti con blog su altre piattaforme). Non so se Dio esiste e soprattutto se sia onnipresente, ma in ogni caso esisteva ed era indubbiamente onnipresente questa blogger.

Mi sono di recente interrogato sulla categoria sociale in cui inserire questa persona virtuale. E ho dovuto riconoscere che l’appellativo di blogger sembra fuori luogo nel caso in esame. Infatti a ben rifletterci questa persona non ha e non ha mai avuto un vero e proprio blog, ma solo uno spazio pubblicitario in cui promuovere lo strombazzato romanzo che pare le abbiano pubblicato con vero senso dell’ardimento. Tutti in verità dovrebbero convenire sul fatto che un blog è un luogo in cui scrivi cose tue, esperienze, idee, cazzate, cose che vuoi comunicare, belle o brutte che siano. Non è di certo un posto in cui pubblicizzare il detersivo per lavatrice Splendex o la crema di bellezza all’aim dei Caraibi Fottex che a ottant’anni ti rende morbida la pelle come quella di una squinzia. Questa persona onnipresente è una spotter, magari una spammer, forse una che ti fa girare le baller, non certo una blogger.

venerdì 25 maggio 2007

Radio Capitano Libero


Ragazzi, ho pensato: dato che stiamo mettendo musica tanto varrebbe farlo sul serio. Ho deciso quindi di trasformare per il week-end il mio blog in una radio libera, la Radio del Capitano. Metterò una canzone nuova ogni paio d’ore scegliendola dal mio vasto repertorio musicale. Cercherò di dire qualche parola nei commenti sui pezzi che propongo, avendone il tempo. Gli interessati possono pure richiedere una canzone specifica. Io cercherò di accontentarli se posso.
Il titolo della canzone appare nel box sulla colonna laterale. Chi non vuole ascoltare può mettere in pausa. Allora parte la radio del Capitano, oh yeeeessssss!!!!

Ecco le canzoni che ho trasmesso negli ultimi giorni:
Beach Boys "Don't worry baby".
Aguaviva "Poetas andaluces".
Scott Mackenzie "San Francisco"
Joan Baez "Where have all the flowers gone"
Procol Harum "A whiter shade of pale".
Ronnie Milsap "Lost in the fifties tonight"
Mecano "Figlio della luna".
Franco Battiato "L'era del cinghiale bianco".
Johnny Cash "One"
Dal musical "Hair", "Goodmorning starshine"
The Exciter - "Tell him" (ascoltabile pure nel film "Il matrimonio del mio migliore amico").
Sezen Aksu (popstar turca) - titolo sconosciuto dall'album "Deliveren".
Giorgio Vanni - Dragon Ball (la canzone originale).
Canzone araba dal titolo sconosciuto.
Sigla del telefilm "Mork e Mindy" - "Na-no na-no"
"Woobinda" dal telefilm omonimo.
Gianni Morandi - Fatti mandare dalla mamma.
Il banco del mutuo soccorso - 750 mila anni fa... l'amore? (dall'album "Darwin").

mercoledì 23 maggio 2007

School of Rock ( cioè of Pop)


Ho visto che qualche amico del blog aveva difficoltà a situare le ultime tre canzoni che ho postato tra ieri e oggi. Quindi provo a dare qualche piccola spiegazione.

La prima canzone si chiama “Poetas andaluces” ed è eseguita dal gruppo spagnolo degli Aguaviva, anno del Signore 1970, almeno stando al mio libro delle classifiche musicali.
A differenza di ciò che diceva qualcuno, è una canzone importante, assolutamente non allegrotta, basata sui versi del poeta Rafael Alberti. Non è del tutto sparita dalla circolazione, dato che l’ho ascoltata pochi giorni fa in sottofondo a un servizio televisivo sulle anteprime automobilistiche.

Il secondo pezzo dovrebbe essere noto anche alle pietre, essendo la famosissima “San Francisco” di Scott Mackenzie. Canzone del 1967, successo planetario, celebrava l’apogeo del movimento degli hippies, da noi chiamati pure figli dei fiori. Era il periodo della massima contestazione alla guerra al Vietnam. I giovani si rifiutavano di prestare il servizio militare, bruciavano le cartoline militari e avevano atteggiamenti fortemente anticonvenzionali come accadeva nel film Hair che descrive proprio quegli anni. L’università di San Francisco, Berkeley, era il centro di questo movimento di contestazione globale, basato su pacifismo, amore libero e uso di droghe “psichedeliche” (cioè capaci di espandere la coscienza, condizione molto ricercata in quegli anni) che andavano dalla cannabis al Lsd. Come è noto ai più, gli hippie fondarono delle comuni agricole fondate sul più spinto collettivismo sia in economia che negli affetti; in teoria nelle comunità dei figli dei fiori non esistevano le coppie fisse, ma tutti amavano tutti (nella realtà si vide che quel modello sociale era fallimentare economicamente e che vi prosperavano la gelosia o l’antagonismo sentimentale che si volevano eliminare). La California in quell’epoca era la Mecca mondiale di ogni movimento giovanile più o meno innovativo (in certa misura lo è ancora, ma non a quei livelli). Molti giovani dell’epoca vivevano “Sognando California”, come accadeva nella canzone dei Dik Dik che era la cover della più celebre “California Dreaming” dei Mamas and the Papas (1966).

La terza canzone che ho diffuso sul blog, “Where Have All The Flowers Gone” quella nella versione di Joan Baez, è una delle più note canzoni pacifiste di tutti i tempi, risalente anch’essa agli anni Sessanta. L’hanno cantata tutti, ma tutti tutti. Solo io ne ho sette o otto versioni diverse. Quella della Baez, quella parlata di Marlene Dietrich (diva del cinema prestata alla musica), quella rock’n roll di Johnny Rivers, quella dei Mamas and The Papas, quella di Peter, Paul e Mary, formidabile trio hippie che andava fortissimo nei Sessanta, quella di Arlo Guthrie o del Kingston Trio. Ne ha fatta una pure Bob Dylan. Davvero non si può tenere il conto degli innumerevoli esecutori di questa magnifica melodia.
L’autore si chiama Pete Seeger, noto per essere uno dei precursori dei temi ecologisti, si impegnò per la depurazione delle acque del fiume Hudson. Seeger si dichiarava apertamente comunista in piena guerra fredda, posizione che chiaramente non gli facilitava l’esistenza nell’America maccartista. Ha scritto una serie di canzoni indimenticabili. Oltre a quella citata, “If I had a hammer”, in Italia cantata da Rita Pavone con il titolo di “Datemi un martello” o “We shall overcome”, basata su uno spiritual, che era il pezzo forte di Joan Baez. Seeger ha portato al successo internazionale brani tradizionali come ad esempio l’antica canzone cubana “Guantanamera”.

lunedì 21 maggio 2007

C'era un ragazzo che come me


A ben vedere non è successo nulla di strano. Era un ragazzo sensibile, pieno di problemi, considerato debole dai più. Ed è morto. Era bravo, cercava l’amore come tutti ed è morto. Sapeva piangere, sapeva soffrire. Ha avuto ciò che meritava. Non sapeva tartassare gli altri, non era arrogante, non faceva parte di nessuna banda di teppistelli: doveva morire, no? Cosa c’è di strano? Cosa c’è di sbagliato? E’ morto uno che prendeva calci in culo da tutti. E’ morto uno che sapeva piangere e che lo faceva spesso. E’ segno che la vita funziona bene. Le cose vanno come devono andare. Non so perché mi sia rimasta impressa in mente questa vicenda per nulla importante. Non so perché non riesco a scordare questo ragazzo morto.

Ci vogliono poche righe per spiegare i fatti. Il ragazzo sensibile era in una stazione ferroviaria. Aveva con sé il suo cane, un esserino minuto e dolce a cui voleva bene come a una persona. A un tratto sul cagnetto si slancia uno di questi mostri a quattro zampe osteggiati dall’ex ministro Sirchia. Forse era un alano o magari un rottweiler, non ricordo bene, ma era un cane di grossa taglia e molto aggressivo. In poco tempo la bestia assassina uccide il cagnetto dolce, procurando ferite al ragazzo sensibile che cercava di sottrarlo alla sua furia. Il ragazzo sale sul treno che doveva prendere. E’ distrutto, pensa che avrebbe dovuto fare di più per difendere il suo amico a quattro zampe. Probabilmente a un certo punto la ferocia del cane assassino l’ha spinto ad avere paura. Ad arretrare. Lo troveranno qualche ora dopo impiccato, non ricordo se in uno scompartimento del treno o in un bagno della stazione. Venni poi a sapere che il ragazzo sensibile aveva un sacco di problemi (certo che ce li aveva, altrimenti non sarebbe stato sensibile). Era gay, dunque bersaglio preferito dei lazzi e dei soprusi dei coetanei. Era uno che non sapeva difendersi, dunque bersaglio doppiamente preferito di certe carogne adolescenti. Aveva problemi a rivelare la sua identità sessuale in famiglia, problemi a trovare una voce amica, difficoltà a scuola. Tirava avanti alla meglio. Aveva un cane, questo aveva.

Muore un debole, chi se ne frega. Cosa sarà successo al cane assassino e al suo strafottente e probabilmente violento padrone? Non credo molto. L’alano o il rottweiler avevano ucciso solo un cane, tra l’altro piccolo e insignificante. C’era materia per una multa. Magari per qualche rottura burocratica di scatole sulla faccenda della museruola. I due compari a quattro e due zampe sono ancora vivi e vegeti. Avranno mangiato, si saranno accoppiati con soddisfazione, avranno fatto pazze corse in campi verdi. Il padrone del cane, che io immagino come un individuo aggressivo, forse uno di questi fissati per la palestra e le arti marziali, uno che di certo non sa piangere, ma che sa ridere, si sarà scordato presto del ragazzo suicida. Dopotutto era solo un gay, era depresso, viveva male, era destinato a finire così. Probabilmente al proprietario del mostro canino ha dato molto più fastidio la multa ricevuta per la mancata presenza della museruola. Il nome del ragazzo morto? Non lo ricordo. Ma non ha importanza, non era nessuno, no?

giovedì 17 maggio 2007

Chi abbandona il blog?


Maggio sembra un mese proficuo per l’abbandono, o presunto tale, del blog. Girando, trovo un sacco di post di gente che ringrazia gli amici, prende capello (virtuale) e giura che lascerà l’allegra compagnia del blog.
Ogni volta che trovo un annuncio di abbandono simile penso la stessa cosa. Anzi di cose ne penso due. Prima di tutto mi dico, sempre e comunque, che il motivo per cui uno abbandona il blog è solo e soltanto uno, anche se quasi mai si dà la spiegazione giusta o sincera. In genere il congedante spiega di avere bisogno di una pausa di riflessione, di dover ricaricare le pile, di dover dedicare spazio pure alla vita reale. Confessa che negli ultimi tempi il blog stava diventando una sofferenza, non riusciva più a reggere i ritmi, che vuole uscire a farsi una passeggiata al sole invece di restare incatenato davanti al computer, che ci sono la famiglia, il lavoro, che diavolo, non riesce più a farsi una birra e un panino come si deve, esistono al mondo altre cose importanti che si stavano trascurando. Dopo questo mesto assolo, il congedante virtuale saluta gli amici, dedicando qualche parola più corposa e sentita ai compagnoni più cari, agli alleati di tante bisbocce e zuffe da internet, magari ci sarà un cantuccio in cui ficcare il sassolino da togliersi dalla scarpa (quoque tu!), quindi la formula di addio finale, che il lettore immagina pronunciata con la mano sul cuore con vero trasporto gassmaniano (Oh me, o vita! Domande come questa mi perseguitano!).
Nessuno degli abbandonatori virtuali, o presunti tali, dice mai la vera ragione del suo allontanamento, e cioè la potente delusione amorosa che l’ha spinto a quel gesto estremo. Io ne sono convinto: si lascia il blog solo dopo che una storia sentimentale, più o meno intensa, più o meno corrisposta – vissuta sempre con un blogger che si rischia di incontrare ogni giorno nel virtuale - giunge al capolinea. Ecco l’equazione: potente delusione amorosa, segue abbandono del blog (aggiungerò la solita formula “o presunto tale” per i motivi che spiegherò tra poco).

Infatti eccoci alla mia seconda e automatica riflessione in presenza di annunci di ritiro blog (un giorno ormai remoto ne feci uno pure io). E cioè che nessuno di quelli che dicono di lasciare lascia davvero. Non uno di loro. Ritorneranno tutti, come nella vecchia canzone di Bruno Lauzi (“Ti senti sola / con la tua libertà / ed è per questo che tu /ritornerai, ritornerai”). Magari dopo poco tempo e su quello stesso blog. Magari, in casi più rari, aprendo un blog con un altro gestore o con lo stesso gestore, ma cambiando identità virtuale. Ricordo che una volta, facendo ricerche con Google, mi imbattei in un sito che dava suggerimenti su come condurre con efficacia un blog. Prima di accedere alla pagina dei suggerimenti, era un forum, c’era un avviso piuttosto inquietante che suonava così: non cliccate questo link, perché vi troverete in un mondo (quello del blog) da cui non potrete più uscire o liberarvi. Si davano pure preoccupanti moniti sulla futura sanità mentale di quelli che avrebbero usato il link ignorando il suggerimento. Era una specie di lasciate ogni speranza, voi che entrate. Io cliccai.

Per me si va ne la città dolente,
...
per me si va tra la perduta gente.

martedì 15 maggio 2007

Sono meglio le ventenni o le quarantenni?


Ci faremo una domanda: sono meglio le ventenni o le quarantenni? Naturalmente non daremo un giudizio di merito su queste due categorie femminili, cercheremo solo di capire quale di esse generi un’attrazione più cospicua e duratura presso il medio osservatore maschile o ciò che noi riteniamo tale. Per dare un giudizio sulla questione, esamineremo alcune qualità fisiche e psicologiche a nostro avviso fondamentali nel rendere seducenti e affascinanti ragazze e signore.

L’aspetto fisico. Il primo elemento da considerare, si sa, è l’aspetto fisico. E qui c’è poco da riflettere. Le ventenni sbaragliano il campo delle avversarie senza difficoltà. Pur riconoscendo che al giorno d’oggi molte donne sono splendide fisicamente anche ben oltre i quarant’anni, bisogna ammettere che le ventenni sono più snelle, eleganti, slanciate, palesano di meno i segni dell’età, si muovono persino con una leggerezza superiore. Insomma è inutile stare a farla troppo lunga. Le ragazze giovani hanno in mano poker d’assi dal punto di vista dell’avvenenza fisica, anche se bisogna riconoscere che le loro competitrici in questo post hanno spesso anch’esse delle buone carte.

Capacità di sedurre. E' chiaro che la faccenda non è finita qui, anche se presso un certo tipo di maschio corrivo l’aspetto fisico è praticamente tutto in campo sessuale. C’è ovviamente l’arte, l’abilità di sedurre (con un sorriso, con un ammiccamento, con un gesto, con il modo di proporsi, di apparire e soprattutto di comunicare). E qui dobbiamo ammettere che l’esperienza delle quarantenni ha la meglio. Sono donne più esperte, disinibite, conoscono di più il mondo, si sono trovate diverse volte - chi più, chi meno - in situazioni sentimental-sessuali e sanno come usare le loro arti in questo campo. Hanno visto quali sono le azioni, i gesti e le parole che funzionano. In breve sanno come si seduce un uomo e hanno meno remore, se interessate, a usare le loro conoscenze per affascinare. Sanno come si fa e sanno farlo. Le ragazze giovani, anche se tra loro non mancano quelle dotate in questi frangenti, non hanno un simile bagaglio di esperienze. Soprattutto non palesano la stessa sicurezza, la stessa disinvoltura nell’usare le armi della seduzione. Sono sempre stato convinto di una cosa (forse mi ha influenzato la Mrs Robinson dell’intramontabile film Il laureato), e cioè che se una media quarantenne volesse fregare il ragazzo a una ventenne ci metterebbe due secondi. Le basterebbe quasi lo schiocco di due dita e il giovincello piomberebbe stecchito ai suoi piedi. Questa azione non avviene, o avviene molto meno del prevedibile, solo perché in genere le signore di una certa età non sono interessate ai giovincelli, per motivi che esulano da questo post.

La sindrome della donna manager. E’ difficile spiegare questo concetto. Diciamo che spesso le donne che detengono una forma di potere (vale a parti invertite anche per gli uomini) risultano più attraenti per il medio osservatore maschile. Il che è come dire che nella maggior parte dei casi una manager risulta, a parità di altre condizioni, più desiderabile di una nullatenente. Si dovrebbe senza dubbio concordare che una quarantenne quasi sempre detiene un potere superiore a quello di una ragazza molto più giovane. Lavora, ha una posizione sociale acquisita nel tempo, oppure una casa da mandare avanti. Ha un determinato potere da esercitare in ufficio o a casa, o come minimo ha più soldi da spendere di una normale ventenne. La sindrome della donna (o dell’uomo) manager premia una certa categoria generazionale piuttosto che un’altra.

Per sviscerare a fondo la questione del post, dovremmo analizzare molti più fattori di quelli qui di sfuggita affrontati. La situazione potrebbe considerarsi al momento in perfetta parità tra le due categorie femminili esaminate. Tuttavia sto per produrre un argomento decisivo, una prova finale che sposterà senza dubbio il verdetto a favore delle quarantenni. Sto per presentare un elemento rivoluzionario che concederà in modo netto la palma della vittoria alle signore contro le signorine. E cioè voglio dire che… Voglio dire che… La prova decisiva, signore e signori, è… è… insomma…
Maledizione, ho scordato ciò che volevo dire. E’ passata proprio in questo momento una ventenne con minigonna e maglietta aderente e mi ha fatto passare di mente la parole. Però quella prova decisiva esiste, sono pronto a giurarlo. Va bene, aspetto che la fanciulla in minigonna si allontani e sono certo che, appena le sue gambe di cerbiatta saranno fuori visuale, mi tornerà in mente la prova decisiva a favore delle quarantenni.

Ribadisco, per evitare lapidazioni pubbliche, che l’incontro è finito in parità. :-)

venerdì 11 maggio 2007

Mare erotico o montagna francescana?


Ragazzi, non capisco davvero la domanda se sia meglio il mare o la montagna. Ma è un milione di volte meglio la montagna, è ovvio! La montagna è un posto più gradevole e desiderabile sotto ogni punto di vista. Non c’è proprio paragone.

Infatti scordiamoci un attimo degli sciami nuvolosi di donzelle discinte che trovi sulla spiaggia. Scordiamoci che virando e orzando lo sguardo verso qualunque punto cardinale avvisti donne e donne, svestite e svestite, o meglio doooonneeeee e doooonneeeee, (super) sveeeeestiteeeee, oh yeahhhhh!!! Scordiamoci di quelle silfidi con occhi da Bambi e corpi da Jessica Rabbit che escono dall’acqua abbigliate con gocce di mare e poco altro esalando risatine letali per i miseri resti del tuo metabolismo basale.
Scordiamoci di quando te ne stai a prendere il sole beato e ti si sdraia a fianco una di queste bonazze pettorute alla Baywatch, che quasi ti trafigge un occhio con un capezzolo appuntito quanto un pugnale malese. Scordiamoci di quei rapaci artigli che conficcheresti a ogni costo in certe sinuose regioni anatomiche situate nel tuo immediato levante astronomico. E dimentichiamo la prudenza che ti vieta di puntare gli occhi deliranti su certi distretti geografici donneschi passibili di far smaniare un cadavere.
Scordiamoci di quando sotto l’ombrellone situato a meno di una iarda dai tuoi sensi sviluppati allo spasimo (all’occorrenza sostenuti da un senso radar superiore a quello dell’Incredibile Devil, capace di individuare un bombardiere invisibile Stealth in volo a tremila metri) si palesano due veneri tardoadolescenti che cominciano a spogliarsi sotto il tuo naso come se fosse una cosa normale. Scordiamoci che mentre guati di nascosto le ignude principesse elfiche sbavi alla maniera suina, ma che invece, quando ti senti osservato, inalberi una mimica oxfordiana da Cancelliere dello Scacchiere che sussurra: per Orazio Nelson, madamigelle, avete notato le bizzarrie dell’anticiclone delle Azzorre?
Scordiamoci di quando donne e donne svestite e svestite ti cadono addosso scorrazzando sulla sabbia rovente e ti piazzano quasi una tetta in bocca mentre te ne stai ignaro a prendere il sole. Scordiamoci di quando vorresti leggere L’essere e il nulla di Sartre sotto l’ombrellone, ma ti accorgi che il tuo occhio è arenato dallo scorso secolo sull’incipit a causa delle adiacenti pallavoliste culone che eclissano la prosa sartriana con le loro fattezze aerostatiche.
E di queste disgraziate piazzate a gambe aperte a settentrione della tua testa infuocata che mostrano trasparenze in un punto innominabile del baricentro femminile? E di quando pensi che con un piccolo colpo di reni potresti progredire sulla sabbia abbastanza da esclamare go-goooolllll? E di quelle che si fanno spalmare sulle spalle l’olio solare da un uomo di Neanderthal, che manco a dirlo approfitta dell’occasione per infilare una pelosa zampa protoscimmiesca sotto gli inesistenti slip? E di quando la maliarda in costume ride come una cretina rivolta al pitecantropo, ma soprattutto a te che, lo porti scritto in fronte, vorresti regredire nella scala evolutiva pur di attuare l’azione di cui sei scellerato testimone? Cancelliamo dalla mente pure questi insignificanti particolari, è chiaro.

Amici, tralasciando certe inezie si deve concludere senza fallo che la montagna è innumerevoli volte meglio del mare. Lì ci sono alberi, verde, aria buona, limpidi ruscelli, paesaggi incontaminati che ti fanno sentire un essere bucolico baciato dalla natura. Lì trovi il contatto con la madre terra, lì la tua anima estatica incontra il suo nirvana. Non so proprio perché la gente si ostini ad accalcarsi in colonie di pinguini su spiagge assolate, ustionarsi i piedi su sabbia rovente, arrostirsi al sole, disidratarsi negli agostani mezzogiorni dei fuoco. Ultimo yeahhh!!!

lunedì 7 maggio 2007

Scrivo una canzone


Un'amica mi ha chiesto, molto per gioco e un po’ sul serio, di scrivere il testo di una canzone. Lei potrebbe sottoporla al giudizio di certi suoi amici musicisti.
Ho deciso di accettare, molto per gioco e un po’ sul serio, la sfida lanciatami. La nostra amica afferma che dovrebbe trattarsi di un testo non romantico (ho notato in effetti che non ha una vena molto romantica sul suo blog), che dovrebbe comunicare un messaggio chiaro e semplice da apprendere.
E’ evidente che non è per nulla facile scrivere i versi di una canzone così. Solo in questo paese ci devono essere milioni di persone in cerca di parole semplici ed efficaci da assemblare in musica. Comunque un tentativo si può sempre fare, male non farà.
Non so nulla di come si scriva una canzone. Nell’appendice di una grammatica in mio possesso si parla per lo più di versi endecasillabi o settenari e si spiegano pure le regole per calcolare le sillabe in modo corretto (contano molto gli accenti). Ieri notte faticavo a prendere sonno nel letto e ne ho approfittato per ripetermi nella mente alcune vecchie canzoni di Mogol-Battisti. In effetti contando e ricontando i versi parevano spesso endecasillabi (“Che ne sai tu di un campo di grano?” “Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi”). Bennato sembra preferire in qualche occasione i versi novenari: ”Un giorno credi di esser giusto”, “Quanta fretta, ma dove corri?”. De Gregori ricorre talvolta ricorre al settenario (“Ma io non ci sto più / gridò lo sposo e poi””).
Insomma giocare un po’ senza montarci al testa non ci farà ammalare. Mi metto quindi a scrivere il testo di questa canzone e vediamo che cosa ne esce fuori.
In ogni modo se qualcuno sa qual è la struttura media della canzone moderna (quante strofe, quanti versi per strofa, quante sillabe in genere per verso, quali rime)… sono qui che ascolto e ringrazio.

giovedì 3 maggio 2007

Sogno


Ho fatto un sogno, strano ma positivo, non un incubo. Mi trovavo negli anni Ottanta. Mi sembrava di avere parecchi vantaggi sulle persone che incontravo, tutte con un curioso look tra il reaganiano e il Boy George, perché sapevo già come sarebbe andato a finire il futuro. Mi venivano in mente decine di modi per sfruttare questa mia conoscenza degli eventi a venire.
A un tratto incontro un tizio. E’ un ometto bruttino e assomiglia a un attore caratterista hollywoodiano, uno di quelli che fanno la parte del noioso secchione nelle storie goliardiche alla Animal house. Io e l’ometto saliamo la scala di un antico palazzo di aspetto principesco. Il mio interlocutore mi chiede se conosco l’inglese. Io mi sento a disagio come se mi interrogassero a scuola e dovessi mostrarmi preparato. Giuro che sì, conosco bene l’inglese, e aspetto che qualcuno venga a vedere il mio bluff. Abbiamo finito di salire la scala. Entriamo in un salone con il soffitto altissimo, quindi varchiamo una porta finemente intarsiata e ci troviamo in una sala quasi regale che mi accorgo essere una classe scolastica. Già prima che si sieda alla cattedra, capisco che l’ometto è un insegnante.
La classe è composta interamente da liceali o universitarie vestite come debuttanti degli anni Cinquanta. Hanno acconciature alla Grace Kelly e vestiti importanti con guanti lunghi. Tuttavia mi rendo conto che non sono proprio studentesse dei tempi andati, piuttosto sembrano comparse di un video musicale di Mtv, insomma sono troppo patinate e disinibite. Io mi siedo da qualche parte tra le allieve e canticchio una canzone di De Gregori.
Quando mi sveglio ho ancora la canzone di De Gregori nella mente, con tutte le parole, le ricordo benissimo. Solo che mi accorgo che il cantautore romano non ha mai scritto una canzone così.
La cosa più strana del sogno è l'averlo archiviato nella mente come positivo. Eppure non mi capita niente di buono, non combino niente di eccezionale. Forse ho questa percezione perché nel sogno sento che posso influenzare il destino a mio favore. Probabilmente questo è pure il segreto per essere felici nella vita.