martedì 31 luglio 2007

Letture consigliate per il water


Ragazzi, vi devo parlare di un luogo accogliente della vostra casa. Per la precisione del punto più ospitale della vostra magione, la stanza in cui vi sorprendete a ridere e a lanciare gemiti di piacere che fanno OOOhhhhhh, o anche Dio mio, come goooodoooo o, infine, Cooosìììì sssìììììììììì!!!!! No, che avete capito? Non vi sto parlando della vostra camera da letto (e poi voglio proprio vedere se lì ve la spassate così tanto come strombazzate in giro!). Mi riferisco al bagno. E segnatamente al punto in cui voi e io ci sediamo per evacuare lo stomaco quasi sempre in preda all'estasi. Come vi è noto le donzelle, assumendo quella particolare posizione, possono svolgere ben due importanti operazioni fisiologiche; mentre a noi consumatori di Denim de’ poveracci ne è concessa solo una. Ebbene, vi parlerò proprio di quell’unica operazione che accomuna signore e signori seduti sulla tavoletta del water. Ah, sento che le labbra si atteggiano a un sorriso senza freno al solo pensiero di quel gesto liberatorio!

Poiché si tratta di una materia troppo vasta e filosofica per affrontarla in un solo post, mi concentrerò su un solo aspetto delle fondamentali azioni quivi analizzate. E’ risaputo che andare di corpo è un’impresa necessitante di una notevole concentrazione e di un dispendio energetico ancora maggiore. E’ naturale, quindi, aver sviluppato tecniche per agevolare questa importante e quasi venerabile attività umana. Una delle tecniche più diffuse è leggere qualcosa in quei frangenti, poiché la lettura ha indubbi benefici sulla distensione del principale canale di uscita umano. Per dirla tutta, questo artificio migliora senz’altro il tuo modo di fare la cacca, forse te la rende pure più profumata. Orbene mi sono chiesto negli anni: qual è il tipo di lettura che mi facilita e mi allieta di più questa manovra? Come si vede non si tratta di un quesito facile. Per diverso tempo ho pensato che le letture più favorevoli all’evacuazione in bagno fossero riviste di gossip o barzellette. Nulla di impegnativo. Magari il tipico rotocalco da barbiere in cui ti si dice che il tal bellimbusto da reality show (tra parentesi è riportata la sua età in grassetto) è stato visto più o meno copulare in pubblico con la tale velina televisiva (tra parentesi l'età in grassetto)… anche se sia il bellimbusto che la velina avrebbero già uno o più fidanzati ciascuno (tra parentesi le solite età) i quali ammazzano il tempo con altri bamboccioni di cui per ragioni di spazio non si possono riferire età e trascorsi esistenziali.

Poi qualche tempo fa ho fatto una memorabile e del tutto incredibile scoperta. Dovevo andare in bagno per fare, come si dice, quella grossa. Era uno di quegli impulsi imperiosi e urgentissimi che non ti concedono il tempo di cercare una lettura adeguata alla bisogna, di modo che devi scattare afferrando la prima pubblicazione a portata di mano con la celerità di un maratoneta al punto di ristoro. Dunque irrompo nel bagno, chiudo, riesco a sedermi sul water senza farmela addosso. Poi afferro il volumetto che mi sono portato dietro e inizio a rilassarmi. Dannazione, mi dico, la lettura a mia disposizione non è il massimo della vita per andare di corpo. Sotto gli occhi ho addirittura una grammatica italiana scritta da una specie di purista della nostra lingua. Ci sono elencati errori e malvezzi di scrittori e parlanti moderni. Sarebbe stato ben difficile portarmi dietro una lettura più tediosa. Tuttavia le cose non vanno poi così male. Scopro che mi piace leggere dello sdegno dell’autore per termini come “promozionare” o “eclisse” o per l’invasione di termini stranieri e segnatamente dei cosiddetti francesismi. Mi piace capire se la pronuncia corretta è Tanzània o Tanzanìa, goména o gòmena, anòdino o anodìno, quali sono i plurali dei nomi composti, dove è più corretto dire la soprano o il soprano, è o ha nevicato.

Insomma, per non farla tanto lunga, quella volta andai di corpo con tale intima soddisfazione che da allora, quando ne ho l’opportunità, mi porto in bagno una grammatica italiana o un cosiddetto galateo linguistico. Gli ultimi volumetti letti in quei luoghi sono stati il Dizionario degli errori e dei dubbi grammaticali e il Dizionario delle parole difficili. Purtroppo li ho finiti entrambi, anche se quando ero seduto sul water ho cercato di centellinare la lettura dei due testi per farla bastare per più operazioni fisiologiche. Ora dovrò rovistare nella mia collezione di libri per trovare qualche altro volumetto di grammatica, mannaggia! Provate anche voi. Sedetevi sul water con una grammatica in mano e ditemi come vi sentite.

venerdì 27 luglio 2007

Ascesa e caduta di una madonna napoletana


L’ho vista ieri mentre scendevo di casa, abita nel mio rione. Aveva un’aria vecchia, flaccida, non sembrava nemmeno lontana parente della ragazza esplosiva che rimarrà impressa nella mia mente fino alla morte. Aveva una capigliatura spennata, sfiorita, che la tintura vivace non faceva che intristire. Era ingrassata, ma il peggio erano i suoi occhi stanchi. Sembrava una donna sconfitta dalla vita, esattamente come mi è apparsa nell’ultimo quarto di secolo incrociandola per il rione. Ho scordato il suo nome, però ne ricordo il cognome. Qui la chiamerò Giovanna, che tra l’altro era il nome di una mia compagna di classe abbastanza carina. Giovanna era una delle ragazze più belle dei tempi del liceo. La sua caratteristica principale peraltro non era di essere bella, quanto di esibire un’aria sana, atletica, tipica di quelle fanciulle che riempiono jeans e magliette di carne soda. Aveva qualche tratto ardito, come il naso aquilino, ma questo la rendeva solo più attraente. Avresti potuto utilizzare la sua immagine come testimonial per una pubblicità sull’essere in forma mangiando yogurt o le merendine ai cinque cereali. Giovanna aveva uno o due anni più di me, ma era come se fosse di un altro pianeta, un pianeta riservato ai ragazzi di quinta o meglio ancora di università. Portava scritto in fronte “Non sono roba per voi, cercatevi una ragazza alla vostra portata”. Ricordo come se fosse ora la sua camminata agile, con i jeans pieni di lei, le scarpette di ginnastica e la maglietta aderente su un ventre senza un filo di grasso.

Erano gli anni Settanta. Anni di libertà sessuale e di eccessi giovanili. C’erano stati da poco i raduni di Licola o di Parco Lambro, dove i ragazzi più grandi vagheggiavano la rivoluzione e intanto si facevano di droga e si accoppiavano senza regole. Giovanna avrebbe potuto avere chiunque, ma si mise con un giovane musicista underground, tra l’altro amico alla lontana di mio fratello. Un bel ragazzo, ma con la nomea di carogna. Capitò che un’estate Giovanna andasse in vacanza con questo musicista dalla dubbia reputazione e con i di lui amici, in Sardegna. Tornò molto tempo dopo, molto tempo dopo che furono tornati a Napoli il suo boy friend e i suoi amici. Era cambiata. Aveva perso esuberanza e vitalità. Evitava le persone. Un giorno seppi che aveva avuto una forte depressione. Un altro giorno che si era buttata dalla finestra sopravvivendo chissà come al suo tentativo di suicidio. Negli ambienti del liceo si diceva che Giovanna ne avesse viste di allucinanti in Sardegna. Droga e sesso di gruppo. Si dava per certo che il suo boy poco friend a un certo punto l’avesse ceduta a un gruppo di pastori sardi. Per alcuni era rimasta prigioniera in una grotta subendo gli abusi di individui umani solo di nome, per altri era rimasta in Sardegna di sua volontà, forse sconvolta dalla droga. Non conoscerò mai la verità su quella vicenda. Fatto sta che un giorno partì da Napoli una ragazza che camminava per le strade del mio quartiere come una dea in terra e che molte settimane dopo, molte settimane dopo il rientro del suo poco raccomandabile ragazzo, tornò a casa un relitto umano.

Giovanna perse il sorriso. Dopo qualche tempo seppi che frequentava un gruppo religioso piuttosto integralista, Testimoni di Geova o evangelisti. Quindi la vidi accompagnarsi a un individuo del mio rione con un curioso nome biblico e con una gran barba anch’essa biblica, che poi finì per sposare. Era davvero sconcertante vedere Giovanna insieme a questo tipo del tutto insignificante nell’aspetto e nel modo di presentarsi. Il marito dal nome biblico era con lei quando l’ho vista l’altro giorno, non aveva più la barba e aveva perso i capelli. Ho pensato quello che penso ogni volta che li vedo insieme. Quell’ometto poco appariscente, poco affascinante e poco tutto in condizioni normali non avrebbe avuto mezza possibilità di avvicinarsi a una donna esplosiva come Giovanna.

martedì 24 luglio 2007

Importante scoperta sulle mutande femminili


Cari amici del blog, ci hanno imbrogliatoooooo!!!! Ci hanno raggiratooooooo!!!!! Ci hanno fatto credere in qualcosa che non esisteva. Una mia recente e importante scoperta scientifica tuttavia ristabilirà la verità storica a dispetto degli oscurantismi e delle manipolazioni della cultura dominante.
Ma fatemi esporre per gradi la mia fondamentale scoperta. Conoscete tutti la moda in voga tra le attuali adolescenti e spesso pure post adolescenti e cioè il vezzo di mostrare, oltre la vita bassa dei jeans, una sezione di mutande femminili di spessore variabile da uno a dieci centimetri. Ho già trattato questa dotta questione qui, domandandomi manzonianamente non se fu vera gloria quella di Napoleone dal Manzanarre al Reno, ma se furono vere mutande quelle mostrateci dalle ragazzine terribili che incontriamo per strada. Devo dire che il dubbio è rimasto, poiché in certe occasioni ho visto donzelle provviste della consueta striscia di slip impertinenti operare flessioni e piegamenti senza che, come vorrebbero le leggi della cinetica, il lembo di stoffa subisse modifiche dell’area esposta al cupido occhio maschile.

Ma la questione è superata dal mio storico ritrovamento. Mi sono chiesto, e sono certo che lo abbiate fatto pure voi, cortesi e sagaci compagni virtuali, da quando tempo esiste questa moda della libera mutanda in libero jeans. Ci hanno fatto credere che fosse una conquista moderna, frutto dell’attuale liberalizzazione dei costumi. Tutt’alpiù, azzardavano rari pensatori arditi, quest’uso poteva risalire ai famigerati anni Settanta, anche se non mi risulta che la storica Raffa televisiva, ballando il tuca tuca, mostrasse nulla di più del pancino. Però poi stop. Non si poteva andare oltre. I bacchettoni tempi passati - ci proclamavano tra le righe gli instancabili incensatori del presente - non potevano permettere una simile audacia vestimentaria. Assolutamente no. La striscia mutandifera era patrimonio esclusivo della nostra rutilante società virtualizzata.

Ebbene, la foto da me pubblicata mostra che questa è una fandonia. Riconoscerete in Marilyn Monroe il personaggio ritratto. L’assenza di capigliatura bionda e di look divistico, nonché i tratti giovanili del viso, ci fanno situare quest’immagine negli anni Quaranta. Tra l’altro si nota una donzella slanciata che sembra in tutto e per tutto non dissimile dai modelli femminili attuali. In realtà, anzi, la giovane Marilyn sembra persino più snella di gran parte delle fanciulle moderne, anche se ci hanno spiegato e rispiegato che la figura più giunonica delle donne del passato le avrebbe fatte apparire in sovrappeso in ogni contesto odierno. Ma la cosa che colpisce, la cosa che impressiona, la cosa che addirittura ci turba, gentili amici, è la presenza della striscia mutandifera sopra i jeans della futura bionda esplosiva. Verificate pure con i vostri occhi. Toccate pure con mano. Anzi cliccate sull'immagine e ingranditela. La moda delle mutande fuori dai jeans era in voga già dagli anni Quaranta, come dimostra questa foto senza ombra di dubbio, anche se hanno cercato di spacciarci tale pratica come frutto dell’epoca moderna! Sarà mia cura trasmettere al più presto i risultati della mia scoperta a Nature e a riviste simili onde renderne edotta la comunità scientifica mondiale.

giovedì 19 luglio 2007

Vendo felicità


Ci chiedevamo in un post recente: oggi di vive meglio, si è più felici, di ieri? Vediamo se possiamo rispondere e cominciamo a chiederci cosa sia la felicità. Senza dubbio è un artificio trovato dall'evoluzione per premiare comportamenti rivelatisi utili a soddisfare esigenze primordiali. Il corpo umano è progettato per distribuire felicità se la mente percepisce che quei bisogni sono appagati con successo. Più o meno l'essere umano potrebbe somigliare a un'automobilista intento in un viaggio periglioso e complicato. L'automobilista è svogliato, tende ad appisolarsi alla guida e a bere, si ferma nei motel con le donnine allegre. Non arriverebbe mai a destinazione se fosse per lui, tanto più che le strade da percorrere sono lunghissime e tortuose. C'è bisogno di un'entità superiore (il cervello) che lo ricompensi (con la felicità o con il meno pregiato piacere) quando procede bene senza sbagliarsi e lo punisca (con il dolore o la depressione) quando il guidatore svogliato è fermo ai box. Quindi per capire la felicità bisogna prima determinare quali sono i bisogni principali dell'essere umano o di quello vivente in generale (con l'avvertenza che molti dei concetti in seguito esposti si intendono estesi pure a una sfera del pensiero astratto che probabilmente non ci sarà modo di affrontare in queste righe).

Il bisogno principale di ogni individuo è quello di riprodursi (anche qui questo concetto è inteso spesso in senso lato e non indica sempre lo scopo di fare figli e vederli crescere bene). Gli individui che non avevano questo istinto in misura adeguata si sono estinti. L'azione del procreare implica l'avvicinamento fisico e soprattutto intellettuale a un'altro essere umano, cioè necessita dell'amore: di conseguenza l'amore sarà il settore in cui la felicità distribuirà con maggior abbondanza i suoi doni. Il rovescio della medaglia dice che il fallimento in amore comporterà le peggiori sofferenze. Per arrivare a riprodursi l'essere vivente ha bisogno di soddisfare alcune esigenze inderogabili (mangiare, bere, dormire, avere un tetto possibilmente accogliente sopra la testa). La soddisfazione di tali bisogni garantirà il piacere o frammenti di felicità. Inoltre c'è la necessità di autoaffermarsi nella società, perché quasi sempre la scalata delle gerarchie umane (che non riguardano soltanto i soldi o il potere, ma pure contesti intellettuali o idealistici) comporta l'accoppiamento con un partner più desiderabile e vantaggioso, capace di generare una prole sana con più possibilità di farsi largo nella lotteria della vita. Nel nostro discorso essere ricchi significa soltanto essersi distinti in una delle tante piramidi sociali, anche se una delle più ricercate dagli uomini. L'importante è trovarsi su, con i soldi, con la cultura, la prestanza fisica, i maneggi politici, l'eleganza, la spiritualità, l'umorismo, gli imbrogli, l'uso appropriato del proprio baricentro o con ciò che si voglia. Ah, la cosiddetta autoaffermazione non deve essere necessariamente reale per generare benessere esistenziale, è sufficiente che venga "percepita" come tale. Alla peggio, esistono alcune scorciatoie che permettono l'autoaffermazione sociale attraverso il processo dell'identificazione (con una persona, con i figli, con una squadra di calcio, un partito politico, una fede religiosa).

Per di più, lapalissianamente, per essere felici sarebbe consigliabile essere vivi. Si presume quasi sempre e quasi dovunque che uno che vive più a lungo sia più felice di uno (sfigato?) che lasci presto questa valle di lacrime. Non c'è nemmeno bisogno di specificare che la salute, la possibilità di godere o meno di cure mediche efficaci hanno la loro brava importanza nel nostro discorso. Tralasceremo invece la facilità di accedere a droghe, eccitanti e stupefacenti vari, perché non risulta con chiarezza che il consumo di sostanze più o meno proibite aumenti sul lungo termine il benessere dell'individuo, anzi ci sono prove del contrario.

Infine, per capire la felicità è opportuno padroneggiare due concetti semplici e complicati allo stesso tempo. Quello della relatività della condizione non solo umana. E quello che analizza le aspirazioni e le aspettative coltivate nella propria esistenza. La "teoria della relatività" afferma semplicemente che qualunque cosa si misura in relazione al contesto in cui si verifica. Cioè una persona si può definire alta, bella, ricca, longeva o persino buona solo se il contesto lo permette (ho già riferito la storiella di Piero Angela sull'isola in cui tutti gli abitanti erano buoni tranne uno cattivissimo, che proprio per questo veniva trattato da tutti con i guanti di velluto e colmato di attenzioni: infatti se fosse morto l'unico cattivo dell'isola sarebbe sparito il termine di paragone che rendeva tale la bontà degli altri). Anche il concetto delle aspirazioni e delle aspettative di vita è complicato. Per semplificare, basterà dire solo che il figlio di un operaio di qualsiasi epoca può essere più felice del rampollo di un nababbo anche raggiungendo traguardi esistenziali meno eclatanti, proprio perché i suoi meno felici natali hanno ridotto le sue aspettative esistenziali (e quindi di felicità).

Restano da sfiorare alcune questioni non marginali. Primo, gli accelerati ritmi di vita e gli aumentati impegni sociolavorativi che generano stress, depressione e ansia esistenziale. E secondo, le opportunità offerte dalla moderna società dell'opulenza e dei consumi (oggetti tecnologici che vanno dai telefonini superaccessoriati, ai computer, agli elettrodomestici futuristici; i ridotti orari di lavoro; le accresciute possibilità ricreative che hanno reso praticabili ai più luoghi esotici inaccessibili in passato) e il loro eventuale influsso sulla felicità umana. Non si può ignorare l'eventuale presenza di Dio in questa rapida e per forza di cose incompleta trattazione della felicità. La convinzione di molti di aver diritto a privilegi in un'eventuale vita ultraterrena ha senz'altro positive ricadute sulla propria gratificazione esistenziale. Oltretutto il contesto della divinità offre l'occasione di creare altre gerarchie particolarmente appaganti: se uno si convince di trovarsi in posizione favorevole agli occhi di Dio, può anche fare a meno di affannarsi nella scalata sociale classica.

Dopo aver tratto le conseguenze dal nostro discorso, torneremo a porci la domanda che guida le nostre riflessioni: oggi si vive meglio di ieri? Questa sarà materia di un altro post

lunedì 16 luglio 2007

Crearsi un lavoro


Basta con questi piagnistei sul fatto che non c'è lavoro! Finiamola con il lamentarci che ci hanno licenziato, che siamo in mezzo alla strada, che non abbiamo prospettive. Il lavoro c'è! C'è per tutti. Ce n'è un sacco. Solo gli sfaticati non hanno un'occupazione. Chi ha iniziativa e volontà il lavoro lo trova sempre. Prendete il mio caso per esempio.

Ieri sono andato su splinder per dare uno sguardo a un mio vecchio blog lasciato inutilizzato da tempo. Volevo controllare le funzionalità e le skin offerte da quella piattaforma virtuale ed eventualmente confrontarle con quelle di tiscali, che danno da pensare in questi giorni. Ciò che ho visto, pur essendo interessante, non mi ha fatto gridare al miracolo. Penso che continuerò a restarmene dove sono a meno di gravi imprevisti. Ebbene è capitato che, mentre lasciavo quelle lande virtuali, io abbia dato uno sguardo alla home page di splinder, dove sono pubblicate anche foto dei blogger. Una di queste raffigurava una lussureggiante e discinta figlia di Dio. Spinto dal mio rinomato interesse scientifico, ho cliccato sulla foto per visionare la biancheria intima della donzella allo scopo di stabilire se essa si accordasse con alcune recenti teorie cosmologiche. La mia insopprimibile curiosità culturale mi ha condotto su un blog dove campeggiavano diverse foto della vampira ignuda, cliccando una delle quali giungevi su un sito con le solite immagini e, finalmente, con informazioni sulla nostra singolare blogger.

Ecco le informazioni scientifiche incamerate su quel sito con un dispendioso lavorio intellettuale. La figlia di Dio si qualificava come accompagnatrice, qualunque cosa significasse questo termine. Affermava con una certa prosopopea letteraria di avere 26 anni, di essere alta 1 e 67 e pesare cinquanta chili. La sua taglia era la famigerata 40, la sua misura di seno la terza. Scarpe numero 39, stilisti preferiti Dior, Dolce & Gabbana e Gucci; regali graditi, scarpe, borse, gioielli. In una ulteriore finestra la madamigella virtuale aveva stilato una lista con i compensi per assicurarsi la sua prossimità geografica. Godere di un'ora della sua (presumibilmente geniale) conversazione costava 250 (duecentocinquanta) euro. Lo sconto sulle due ore ti portava a sborsare solo 400 euro. Sfamarla con una cena dispendiosa e quindi trattenerti con lei nel dopo cena sperando magari che non aprisse bocca, euro 600; una notte, 1200; un giorno intero 1800, il weekend era praticamente regalato: solo 2500 euro. L'amabile signorina discinta informava i poveri di spirito che i suoi costi non erano negoziabili e che in ogni caso sarebbe risultata infrequentabile dai giorni 13 al 19 a causa di un imperscrutabile ciclo che ho sospettato non essere quello circadiano.

Ho ovviamente subito rilevato che le mie attuali sostanze mi impedivano di usufruire della compagnia della donzella anche per il tempo necessario per raccontarle una barzelletta fulminea. Tuttavia la mia innegabile inclinazione all'altruismo mi ha spinto a scrivere alla nostra eroina e al suo triste piede 39 una mail che faceva grossomodo così. Anche se il suo fisico non temeva confronti, le ho fatto notare, avrebbe potuto migliorare non poco le sue pubbliche relazioni, il suo modo di proporsi. Inoltre il listino prezzi per accedere alla sua compagnia somigliava pericolosamente a quello delle specialità gastronomiche acquistabili nella trattoria Ciro a mare o nell'osteria di Rafele ‘o malommo, entrambi gli esercizi commerciali situati nei bassifondi spagnoli di Napoli. Infine l'annuncio sulla sua inabilità a causa del ciclo sembrava una presa in giro se non peggio. Un tale inappropriato modo di presentarsi al mondo le avrebbe fatto perdere clienti e, quindi, guadagni. Eppure i suoi problemi non erano tanto gravi, ho assicurato all'intemerata blogger. Se si fosse fatta consigliare da una persona brillante, navigata, esperta del mondo e soprattutto capace di scrivere in un italiano chiaro e ammaliante, le sue prospettive economiche ne avrebbero senza dubbio beneficiato. Incidentalmente io conoscevo un individuo perspicace e avveduto che rispondeva a quei requisiti, il quale sarebbe stato lieto di mettere al suo servizio vaste conoscenze letterarie e culturali per una percentuale riconducibile a un misero dieci per cento dei suoi guadagni di accompagnatrice. Infine mi sono informato presso la nostra amica se ci fossero altre sue colleghe di lavoro desiderose di usufruire degli uffici di questo consigliere sagace, compensandolo con un'identica percentuale di introiti. Attendo la risposta della signorina e di altre sue pari sicuro di essermi finalmente creato un lavoro che mi offra un futuro e mi permetta una vecchiaia sicura. Ah, nel caso in cui il mio prossimo lavoro non avesse ancora una sua definizione, ho deciso di creare per esso il neologismo di "Pappon manager" o anche di "Women's resources tutor and protector". Hasta la vista, companeros.

La donzella ritratta nella foto è la blogger ispiratrice del post, perlomeno così dice.

mercoledì 4 luglio 2007

Oggi si vive meglio di ieri?


Come ho detto in un commento, l’altro ieri ho dovuto aspettare tre (tre) ore alla posta. Il tempo di attesa è spiegabile in parte con il fiorente mercato nero dei numeri in voga nell’ufficio postale del mio quartiere (ci sono ovviamente pure disservizi di altra natura). Mentre aspettavo di fuori con il mio numero 183 in mano, osservavo i posteggiatori abusivi che cedevano ai loro clienti numeri più piccoli del mio, circostanza che avrebbe ridotto l’attesa dei nuovi arrivati a danno mio e di altri sfigati come me che non possono contare sull’arte di arrangiarsi o su un volto simpatico che spinga il prossimo abusivo alla filantropia.
Non ero arrabbiato, guardando quella scena. Anzi ero sul meditativo, forse persino sul filosofico. Osservavo i volti della gente nei paraggi: quelli contrariati per l’attesa dantesca che si profilava; quelli contenti per aver rimediato un numero di una ottantina di unità più piccolo del dovuto (il che riduceva a due sole ore l’attesa di queste persone, invece delle canoniche tre). Guardavo tutto. Le facce dei posteggiatori abusivi, la fila pazzesca di macchine che intasava il vialetto dell’ufficio postale più di un casello di autostrada in pieno esodo estivo, i clienti che fumavano con facce inespressive. Sorvegliavo persino una giovane mamma che discuteva con un posteggiatore prima di entrare in auto (ero preoccupato perché la sciatta e stanca mamma pareva incline a far picchiare la testolina del neonato contro la tettoia dell’auto quando avesse finito di parlare). L’insieme della scena mi ha fatto venire in mente i panegirici a favore del progresso, del nostro tenore di vita enormemente migliorato rispetto al passato. Ho pensato di sfuggita pure al paradosso dell’operaio moderno che vivrebbe meglio, secondo alcune teorie, di un imperatore romano. Mi sono chiesto, con il cervello che pareva di colpo libero da nebbie mentali: ma oggi si vive davvero meglio di ieri come si strombazza in ogni più remoto cantuccio del pianeta? Siamo più appagati, più soddisfatti in una sola parola più felici di come avremmo potuto essere, mettiamo, un paio di secoli fa o più?

Non ho saputo rispondere a questa domanda in maniera certa e univoca. I miei dubbi si sono rinforzati quando ho proseguito l’attesa all’interno dell'ufficio postale discutendo con una signora e una ragazza che mi spiegavano che la vita è tutta una fila, dal dottore, dal salumiere o dal parrucchiere. Avrei voluto chiedere all’attraente fanciulla se conosceva modi per affrontare con soddisfazione reciproca i tempi morti a venire, ma poi ho raccontato di una signora anziana che – udite, udite! – ho aiutato ad attraversare la strada quella mattina. La vecchia signora era terrorizzata, quasi piangeva. Cercava di portarsi sull’altro marciapiede, ma gli automobilisti se ne fregavano, non ce n’era uno che facesse il gesto di rallentare. Dopo aver svolto la mia buona azione quotidiana, ho riflettuto che quello slancio di altruismo mi è costato almeno trenta numeri di attesa in più. Cose che capitano.
Dunque ci chiedevamo se si vive meglio oggi o in passato. Forse per avere le idee più chiare su tale quesito dovremmo prima definire che cos’è la felicità e cosa significa vivere bene. Quali sono i parametri che descrivono questo concetto. Il passo successivo sarà di cercare di stabilire se la quantità media di felicità riscontrabile in una certa epoca è superiore a quella di un’altra. Svilupperò questo discorso nei post seguenti. (Me sa che se prepara ‘na bella estate de riflessioni cartesiane, oh yeah! Siamo fortunati, cari amici del blog, meditare è molto più fico che annarsene sugli yacht de’ magnaccioni della finanza a scolarse sciampagne e spupazzarsi veline bonazze che fanno Oooohhhhh a pagamento: oh-oh ye-yeaaahhhh!!!!!)

domenica 1 luglio 2007

Sogni proibiti - I fumetti erotici dei '70


Diversi post fa ho citato Hessa, ossia la protagonista di un fumetto per adulti degli anni Settanta e mi sono stati chiesti ragguagli in proposito. La materia della risposta mi sembrava meritare un post (sono passati sei mesi, è incredibile come vola il tempo). Hessa, mi ha ricordato Google, era una vergine arruolata nelle SS che contrastava un capo dei partigiani di cui forse era innamorata. Il fumetto era scadente, disegnato male e sceneggiato peggio. Tuttavia, di tanto in tanto presentava qualche scena abbastanza spinta da appagare i palati meno esigenti.
Negli anni Settanta - e probabilmente pure dopo - il principale luogo di lettura di materiale pruriginoso era il bagno, e cioè l’unico posto della casa dove ti potevi chiudere a chiave e leggere tutto ciò che volevi senza timore di farti sorprendere dagli adulti in azioni altamente disdicevoli e proibite. Il bagno offriva anche ulteriori vantaggi legati ad azioni parallele o susseguenti alle letture vietate di cui non farò menzione. Prima di avventurarti tra water e lavandino con il giornaletto o con il non meno appetibile romanzetto scollacciato, si sa, dovevi procurarti un grosso giornale, possibilmente di fattura austera quanto quella del Corriere della sera, entro cui occultare la pubblicazione proibita.
Mentre svolgevi le due o tre azioni collegate al materiale che ti portavi in bagno, tuttavia dovevi, alla maniera di un Apache Mescalero, tendere l’orecchio per cogliere eventuali ritorni anticipati dei feroci fratelli maggiori. In quel caso avresti dovuto interrompere di botto ciò che facevi seduto sul water, qualunque cosa fosse, uscire dal bagno e rimettere a posto il maltolto prima che i consanguinei notassero la violazione dei loro nascondigli e ti facessero sputare i denti per il prestito non autorizzato. Naturalmente non appena ti chiudevi dentro la stanza dei sogni erotici, rimasta fino a quel momento ignorata, saltavano fuori frotte di persone che, picchiando contro la porta del bagno colpi degni della Gestapo, ti segnalavano di aver bisogno di espletare bisogni fisiologici inderogabili.

Le pubblicazioni porno degli anni Settanta, per quel che ricordo, si dividevano in tre filoni principali: i fumetti, i romanzetti scollacciati del genere Confessioni Proibite o forse Scabrose e le riviste fotografiche tipo Le Ore o Caballero.
Di fumetti erotici ce n’erano a centinaia di testate. Alcuni erano disegnati pure bene. Anche il grandissimo Magnus, autore di Alan Ford, ne disegnava uno, credo si chiamasse “Lo sconosciuto” ed era davvero ben fatto. La maggior parte della produzione pornofumettistica dell’epoca nondimeno era del genere popolare basata su disegni approssimativi e testi da dimenticare. Comunque quasi in ogni albo trovavi esplicitate diverse posizioni del Kamasutra, cioè quanto bastava per far volare la tua non esigentissima fantasia sessuale. Le eroine dei pornofumetti erano divise equamente in vampire assatanate di sesso (Jacula, Zora, Sukia), protagoniste di favole rivedute e corrette (Biancaneve, Cenerentola, Maghella), trombatori doc instancabili (il Tromba, il Montatore), avventuriere in bilico tra lo storico e il letterario (Messalina, Pompea, Isabella, Lucrezia, Jolanka), parodie di personaggi cinematografici (Karzan, Bonnie, senza Clyde almeno nel titolo), e mille mille altre signore affette da ninfomania acuta che andavano dalla Poliziotta a Vartan, dalle protagoniste delle Corna Vissute a quelle di Oltretomba. Spesso i personaggi dei fumetti porno di quegli anni avevano i visi di personaggi famosi. Raffaella Carrà era “Raffa”, Ornella Muti era Sukia (almeno sulle copertine), Lando Buzzanca “Il montatore”. Un fumetto quasi mai deludente in tema di incontri ravvicinati del quarto tipo era “Maghella”, che mi pareva pure ben disegnato (era una specie di Biancaneve che si muoveva in paesaggi fiabeschi popolati di orchi, mangiafuoco e principi azzurri con gli istinti di satiri in regime di astinenza sessuale).

Per quanto riguarda i romanzetti scollacciati, devo dire che avevo una predilezione per la collana denominata se non mi sbaglio “Confessioni proibite”. Probabilmente si trattava di romanzetti pulp degli anni Sessanta ristampati nei Settanta, ma non l’ho mai saputo con precisione. Erano scritti con un certo stile letterario e con una non disprezzabile proprietà linguistica, almeno così mi pareva all’epoca, e si avvalevano sempre e soltanto del racconto in prima persona singolare. In genere trattavano di preti interagenti con adolescenti tentatrici che stazionavano sulle ginocchia altrui, e anche un po’ più su, ottenendo reazioni fisiologiche poco adeguate all’ufficio religioso. C’erano poi le nordiche ragazze alla pari, le zie svezzatrici di nipoti teenager di ambo i sessi, le cugine, le mamme adottive e non, le suore (almeno a parole) di clausura, le lolite, le mogli insaziabili, i mariti guardoni via dicendo. Al di là di ciò che può sembrare, questi romanzetti avevano anche lunghe sezioni in cui non si parlava di sesso, ma si descrivevano le psicologie del personaggi. Io cercavo di leggere tutto, anche se occhio e cervello aumentavano vistosamente la capacità di assimilare la parola scritta in presenza di certi brani boccacceschi.

Venivano infine le riviste fotografiche, che erano le pubblicazioni porno nelle quali vantavo una minore conoscenza. Erano basate su immagini che qualunque lattante dei nostri giorni si può procurare andando su un sito porno, anche su quelli soft. Non mi sono capitate sotto mano molte riviste di questo genere.

Ecco un paio di buone formazioni dell'epoca:
Albertosi (Sukia); Burnich (Messalina), Facchetti (Confessioni Proibite); Bertini (Maghella), Rosato (Il montatore), Cera (Caballero); Domenghini (Hessa), Mazzola (Il Tromba), Boninsegna(Jacula), De Sisti (Corna Vissute), Riva (Le Ore).