domenica 25 agosto 2013

Arriva un cavaliere libero e selvaggio

05-1141994_0x420“Arriva un cavaliere libero e selvaggio” è stato per anni il titolo del mio blog e, come qualche volta avevo spiegato, così si chiamava un film del 1978, un western atipico ambientato durante la seconda guerra mondiale o giù di lì. Per anni ho cercato di rivedere il film senza riuscirci. Ricordavo vagamente la protagonista Jane Fonda e il fatto che insieme ai cavalli tipici del West si vedessero automobili e magari anche aerei. Ricordavo anche che il cattivo, un gran bel cattivo, Jason Robards, aveva avuto una relazione ambigua con la Fonda e ora voleva mettere le mani su tutto il piatto, prendersi la donna e le sue terre. Di recente ho finalmente potuto rivedere il film. E sono stato contento di notare il mio blog aveva avuto il titolo di una bella storia.

La trama è semplice. La vedova Fonda cura alla sua fattoria un viandante ferito, James Caan, appunto il cavaliere libero e selvaggio di cui si parla nel titolo, sfuggito a un tentativo di omicidio. I due uniscono le forze e prima pagano i debiti della fattoria e quindi uccidono i cattivi in uno scontro finale. Le caratteristiche del film sono principalmente due: gli straordinari paesaggi montani credo del Wyoming e i silenzi della storia, non meno straordinari. Soprattutto i silenzi mi hanno colpito. Ho notato con una certa sorpresa che una singola parola aveva la caratteristica di riempire lo schermo e dare spessore e suggestione al film. Le parole in questo film pesavano tantissimo, forse per questo venivano usate con parsimonia, almeno in larghi tratti.

Un paio di giorni fa ho visto un film di fantascienza The divide, ambientato in un rifugio sotterraneo con nove scampati a un disastro nucleare. Non sono riuscito a finirlo. I nove scampati impazziscono sempre di più. Alienati e paronoici, diventano bruti che si torturano a vicenda in scene disgustose. Che differenza, tra il sangue splatter dei moderni sopravvissuti e i silenzi dell’antico Cavaliere libero e selvaggio.

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